Economia

Per lo sviluppo

Per lo sviluppo

Aumenta la pressione fiscale e aumenta il debito, che sfonda la soglia dei 2000 miliardi. Il tutto dopo il succedersi di avanzi primari che nessun altro Paese europeo ha. Lungi dal prendere atto che la ricetta fin qui applicata non funziona, il dibattito politico s’interroga su come garantire la continuità.

Riecco, allora, l’Italia che non sa guardare ai propri punti di vantaggio e preferisce soffiare sul fuoco dell’invidia sociale. La solita fregola pauperistica ha suggerito un sostanziale capovolgimento dei dati resi noti dalla Banca d’Italia, strillando: il 10% delle famiglie possiede il 50% della ricchezza nazionale. E via con i muggiti di rabbia, contro i ricchi. Più profondo è il muggito peggiore il risultato, per tutti. Laddove, invece, quei dati contengono una mappa per riprendere la via dello sviluppo.

Intanto non è il 50, ma il 45,9%. Che non è una piccola differenza. Ma si devono tenere presenti due elementi: primo, la concentrazione della ricchezza è più alta in altri paesi sviluppati e occidentali; secondo, ancora più importante, la concentrazione aumenta mano a mano che cresce la recessione. La ricetta di giustizia sociale, quindi, non consiste nel tassare, ma nel lasciar sviluppare. Ci arriviamo subito. Prima serve un altro dato, per capire a chi arriva la coltellata se si tassano i “ricchi”: la ricchezza netta delle famiglie ammonta a 8.619 miliardi, circa l’85% di tale ricchezza consiste in case. Quando si tassa la ricchezza, mediante una patrimoniale come l’Imu, si tassano i possessori di case, cioè le famiglie. Tutte, o quasi. Se si applica la patrimoniale senza scorporare (o modulare diversamente) l’immobile che si abita ne deriva che anche i poveri sembrano delle immobiliari. Per non parlare dell’assurdo di chi ha un mutuo ancora da pagare, sicché paga in virtù di un patrimonio che, in realtà, non possiede.

Questo è il lato folle. Veniamo a quello bello: le famiglie italiane sono indebitate assai meno di quelle di altri paesi, come Francia o Inghilterra, per non parlare degli Stati Uniti; inoltre hanno un patrimonio finanziario netto pari a 3.541 miliardi. Dunque: ci stiamo svenando per un debito pubblico pari a 2.000 miliardi, ma abbiamo un patrimonio privato di 5.980, una ricchezza finanziaria di 3.541, di cui il 71% liquido, cui si deve sommare un patrimonio pubblico, in immobili e terreni, che ammonta a circa 640 miliardi (a sua volta da sommare con quello dell’infinità di società pubbliche, quindi assai più alto). Escluso che si possa mettere ulteriori patrimoniali (a meno che non siano compensative di analogo gettito restituito, sotto forma di equivalenti sgravi delle tasse sui redditi), potremmo portare il debito sotto il 100% del prodotto interno lordo (servono 450 miliardi, secondo un interessante ragionamento svolto da Enrico Cisnetto) usando un mix di: a. vendite pubbliche; b. sgravi fiscali per gli investimenti, talché sia la crescita a restituire vivacità al gettito. A quel punto, con il nostro avanzo primario, siamo il più solido Paese dell’area dell’euro. Tutto sta a tagliare la spesa pubblica corrente.

Smettiamola di tassare per trasferire ricchezza agli acquirenti del nostro debito, con il risultato d’impoverirci e vedere il debito comunque in crescita (è questo il fallimento, che non potrà essere nascosto da nessuna processione salmodiante: Monti, Monti, Monti), e cominciamo a mettere al lavoro quell’enorme liquidità. Facciamo divenire conveniente investire in Italia, anche da parte degli italiani, altrimenti continuerà l’incubo di famiglie che risparmiano investendo in prodotti finanziari che allocano all’estero il denaro e, con il guadagno, pagano le tasse che servono a finanziare quegli stessi speculatori cui si affidano i risparmi. Piantiamola di alimentare il gioco fesso, e disgustosamente populista del “dagli al ricco”. Ci serve legalità, meritocrazia e competizione, non pauperismo.

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