Se il prodotto interno lordo dovesse crescere più del previsto sarebbe un bene. Se la pressione fiscale dovesse scendere sarebbe un bene. Chiunque governi, dovremmo festeggiare. E’ un male, però, prendersi in giro e usare i dati in modo parziale e propagandistico. Non va bene se lo fanno i detrattori del governo, va anche peggio se lo fa direttamente il governo. Quindi vediamoli, i dati.
L’Istat sostiene che, già al terzo trimestre di quest’anno, è acquisita la nostra crescita dello 0.7%, quindi la previsione potrebbe essere aggiornata al rialzo, puntando a una forbice che va dallo 0.8 all’1%. Bene, lo vedremo il prossimo 20 settembre, quando sarà reso noto il testo del Def (Documento di economia e finanza). Possiamo dar fiato alle fanfare? Avverrà di sicuro, ma rischia d’essere fiato perso. I dati sono chiari: siamo partiti (nell’autunno scorso) immaginando una crescita italiana pari a poco meno della metà di quella dell’Eurozona, se si conferma l’accelerazione saremmo alla metà, o poco sopra la metà. Se ci si misura con sé stessi, è un significativo passo in avanti. Ma se, come è corretto, ci si misura con il resto dell’Europa (e del mondo), vuol dire che lo svantaggio relativo dell’Italia aumenta: eravamo indietro, abbiamo avuto una recessione severissima e recuperiamo meno degli altri. La Spagna e l’Irlanda, che ebbero recessioni paragonabilmente brutali, crescono più della media, diminuendo lo svantaggio relativo. Noi no. Cresciamo solo più della Finlandia, che va male. Mentre l’arresto più vistoso è quello della Francia, che, lo ripetiamo da tempo, è il grande malato d’Europa. Ma a fine anno il malato crescerà più di noi.
La crescita europea dovrebbe attestarsi fra l’1.4 e l’1.5%. E’ molto poco (ma nettamente più di noi), considerato che il Quantitative easing, ovvero la liquidità immessa dalla Banca centrale europea, avrebbe dovuto dare una spinta di un punto percentuale. La domanda seria è: cosa sarebbe successo se quell’operazione, avversata dai tedeschi, non fosse partita? La crescita media sarebbe stata dello zero virgola, mentre noi avremmo pagato molto di più per gli interessi sul debito pubblico e sarebbe già stato tanto se solo non avessimo avuto ancora il segno negativo.
Scrivo queste cose per dire che il governo non ha nessun merito? Chi se ne importa, le scrivo per sostenere che se qualcuno crede che la maggiore crescita derivi da chissà cosa si sia fatto noi sta prendendo un abbaglio. Pericoloso, se si ritiene di aver già dato, sicché è giunto il momento di spendere. Che il cielo ci guardi, anche per i riflessi fiscali.
A tal proposito, il ministero dell’economia ha diffuso i dati relativi al gettito nei primi sette mesi di questo anno. Cresce. Sommando le entrate dello Stato e degli enti locali il prelievo fiscale è aumentato dello 0.6%, rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Ma, attenzione, nei primi mesi del 2014 lo Stato incassò i proventi fiscali generati dalla rivalutazione delle quote della Banca d’Italia (operazione che criticai duramente e che, fin qui, non ha dato luogo a nessuno degli effetti decantati dai suoi sostenitori, il che m’induce a pensare che le cose andranno come prevedemmo). Si tratta di una operazione non ripetibile, una tantum. Se la si sottrae ne deriva che il gettito fiscale è aumentato all’incirca dell’1.3%. Siccome il pil, la ricchezza prodotta, è largamente inferiore, ne deriva che il fisco prende di più, lasciando meno ai cittadini. E questo avviene dopo una gnagnera infinita sulla sicura diminuzione delle tasse. Intanto sono aumentate.
Allora: se acceleriamo il passo della crescita è un bene, ma al momento ci limitiamo a perdere meno terreno, perdendolo comunque; se la pressione fiscale diminuisce è un bene, ma al momento aumenta. Giocarsi questi dati sul piano della propaganda non ha senso. Rimproverarli al governo significa dimenticare la condizione di partenza. Esibirli come straordinari successi significa cancellare la realtà che viviamo. Aspettiamo il 20, se ci saranno tagli importanti e permanenti alla spesa pubblica, se non si genererà nuovo debito (mascherato da deficit), sarà segno che s’è capita l’antifona e ci si muove, in caso contrario certe chiacchiere odierne ricordano la tradizione popolare romanesca e il dialogo fra un malato consapevole della propria condizione e un medico mentitore che falsamente lo rassicurava: dotto’, vorrà dire che me moro ‘n bona salute.
Pubblicato da Libero