Economia

Per un pil

Per un pil

L’Istat ha dato i numeri, che non tornano per niente. C’è un trucco. E va svelato. Ieri l’Istituto di statistica ha reso noto che la crescita del prodotto interno lordo italiano, nel 2015, potrebbe attestarsi allo 0.7%. Veniamo subito alle considerazioni che ne derivano, ma prima dobbiamo ricordare che, all’inizio dello scorso settembre, l’Istat aveva dato quella crescita come già avvenuta, tanto da potere fare sperare in un +0.9-1% finale. Scriveva l’Istituto: “in presenza di un rallentamento delle esportazioni (…) è la domanda nazionale (al netto delle scorte) a fornire il principale contributo positivo al pil. In questo scenario, la crescita acquisita per il 2015 è pari allo 0.7%”. Lo prendemmo per buono, invece era falso.

Nella comunicazione Istat di ieri si legge un pastrocchio sulle “diverse metodologie di calcolo”. Ma mica stiamo parlando dell’oroscopo, sicché Venere non quadrò in Saturno e Orione cambiò cantone. Le affermazioni di settembre sono chiarissime. Si tratta di stabilire se sbagliatissime o falsissime. Non è una differenza da poco. Quella proiezione illusoria ha cambiato le carte sulla tavola del dibattito collettivo, comportando ora un grave danno di credibilità. Nei confronti dei cittadini, del mercato e delle autorità Ue. L’accelerazione data per assodata non c’era, ma era sulla base di quella suggestione che s’è premuto per un deficit superiore. Siccome, almeno stando ai dati Istat ultimi, si tratta di una decelerazione, vale a dire che la crescita trimestrale rallenta, riportando in basso la media annua, questo depone male sulle speranze di crescita per il 2016. Meno rincorsa, meno slancio, meno possibilità di saltare lungo. Il che comporta maggiore peso del debito e maggiore negatività del deficit. Roba sinistra.

La sola cosa che ci salva è la politica monetaria della Banca centrale europea, che continua a deprimere i tassi d’interesse. Quello, inoltre, è il solo vero taglio fatto nella spesa pubblica, purtroppo sprecato nel far crescere le altre spese. E se sono giusti i conti della Bce (che a me sembrano più affidabili di quelli appena descritti, inquietantemente ballerini), se la politica monetaria porta una crescita dell’1% nel biennio, ne deriva che chiuderemo il 2015 con una crescita endogena dello 0.2%. Toglieteci il prezzo del petrolio, il vantaggio turistico dato dal terrorismo nel Mediterraneo e l’Expo e non ci resta niente.

Ora prendiamo i dati della crescita altrui. L’Eurozona cresce, nel 2015, dell’1.6%. La Germania dell’1.7. Noi meno della metà. Rispetto ai Paesi che hanno avuto, come noi, la più dura recessione, cresciamo meno della metà del Portogallo (1.7), quattro volte meno della Spagna (3.1), otto volte meno dell’Irlanda (6). Ci sono differenze, fra noi e loro, ma cerchiamo di non dimenticare la più importante: hanno fatto politiche di tagli alla spesa pubblica, per finanziare sgravi fiscali; noi abbiamo fatto aggravi fiscali, per finanziare aumenti della spesa pubblica. Abbiamo un mondo politico variopinto e frammentato, poi riconfluente attorno al dilemma preferito: come redistribuire ricchezza tramite la spesa pubblica. Fino al capetto della Repubblica dei Bonus, Matteo Renzi. Che la ricchezza vada prodotta, prima, sembra non riguardarli. Studi le loro biografie e capisci anche il perché: furono estranei al cimento.

L’Italia può fare assai di più, ma non certo abbioccandosi alla nenia allucinata di chi racconta di avere già provveduto. Quel che c’è arriva da fuori. Dentro è un mortorio festante.

Pubblicato da Libero

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