Economia

Perdere tempo e competitività

Perdere tempo e competitività

Il sistema Paese che si trastulla a rimirare sé steso stagnante ha ancora campioni capaci di competere e vincere, ma una squadra che scende in classifica. La banca d’affari Schroders riassume tutto in un grafico spietato: facendo partire dal 2000 la misurazione della competitività, l’Italia ha continuato a perdere posizioni. Ma non c’è solo questo: dal 2008-2009, gli anni in cui è esplosa la crisi finanziaria, l’Italia e la Spagna divorziano, con la seconda che vara riforme i cui effetti si sono subito sentiti. Per non dire dell’Irlanda. Certamente, sono economie con dimensioni e strutture diverse, noi restiamo la seconda potenza industriale d’Europa, ma la diagnosi è chiara: stiamo correndo verso il suicidio competitivo.

La colpa è dell’immobilità. Del non agire. L’alibi per restare fermi è dato dalla più sciocca delle considerazioni: lo spread è sceso. Quante volte lo abbiamo sentito ripetere? Era a più di 500, ora è attorno a 200, un nostro successo. Falso: quando schizzò in alto segnalò non un (nuovo) guasto italiano, ma la debolezza istituzionale e strutturale dell’euro; poi è sceso grazie agli interventi della Banca centrale europea. Doppio falso: da mesi lo spread spagnolo è più basso di quello italiano, il che non solo combacia con l’analisi Schroders, quindi con il vantaggio spagnolo, ma fissa una condizione innaturale (il nostro debito è più affidabile e più patrimonialmente sicuro di quello spagnolo), quindi un grave insuccesso governativo. Lo ripetiamo da anni: gli adoratori dello spread sono una tribù di superstiziosi, o di imbroglioni. E forse c’è un modo per conciliare le due cose: di incapaci.

Per capire come uscirne dobbiamo prendere in considerazione due temi: la lunga perdita di competitività e il feroce impoverimento degli ultimi anni. Il primo richiede quelle riforme di cui tutti si parla e che nessuno fa. Abbiamo ancora la peggiore giustizia d’Europa, nonché del mondo civilizzato, il che crea un terribile svantaggio competitivo. Uno Stato elefantiaco e burocratizzato, con procedure contorte e inutili, lasciando correre la spesa pubblica improduttiva. Un mondo del lavoro ingessato sul lato degli occupati e dequalificato su quello dei disoccupati (qualche guadagno di competitività coincise con la legge Biagi). Abbiamo non scarsi incentivi all’investimento, ma solidi a farli altrove. Un satanismo fiscale che tinge di moralismo la sistematica distruzione di ricchezza. Sono parole che hanno stufato, perché restano parole. Ma non usciamo dal pantano se non ci decidiamo a prendere corporazioni, rendite e pregiudizi per le corna e portarli al macello. Liberiamo l’Italia da questi pesi e tornerà a correre.

Il secondo tema porta alle polemiche di queste ore. Scrissi che il governo di centro destra, trionfante alle elezioni del 2008, ansimava già nell’estate del 2009. Il presidente della Repubblica commise lì l’errore di negare le urne, lasciandolo andare verso la putrefazione. Nel 2011 nacque il governo Monti, che applicò ricette buone a favorire gli altri e non l’Italia. Aumentare la pressione fiscale e continuare a essere contributori netti dell’Ue, nel mentre le nostre imprese venivano massacrate con tassi d’interesse troppo alti, non serviva all’Italia, ma alle banche tedesche e francesi. Quello fu il secondo errore del Quirinale: supporre di potere decidere al posto degli italiani. Scelse, oltre tutto, un uomo che oggi ripaga il favore con un sostanzioso analfabetismo istituzionale, raccontando in giro quel che si dissero al Colle. Arroganza & incapacità. Fatte le elezioni del 2013, incassato un risultato senza governo, la rielezione di Napolitano avrebbe dovuto portare a chiudere la pagina della seconda Repubblica, nominando senatori a vita i soli due vincitori elettorali: Berlusconi e Prodi. Non lo fece, e fu il terzo errore grave. Preferì nomine buone per il comitato centrale del Pci. Anime belle (e manco tutte), come le avrebbe chiamate Palmiro Togliatti. Così abbiamo perso altri due anni, nel corso dei quali si sono impoveriti gli italiani (famiglie e sistema produttivo) per pagare il prezzo di un debito pubblico che continuava a crescere. Questa è la grande responsabilità del Colle.

Il grafico Schroders mette in una pagina l’immagine di queste storie. E dice che tale condizione non può essere sostenuta oltre, senza provocare danni irrimediabili. Cosa fare, per uscirne, lo sappiamo. Ma rimandiamo sempre, in omaggio a una stabilità che è immobilità. Altro che complotti e piani segreti, qui la scena è colma di teste vuote ed egolatrie miserrime. Si eviti di compiere il quarto errore, perdendo tempo in attesa del nulla.

Pubblicato da Libero

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