Economia

Più spendi più tassi

Più spendi più tassi

Buscar ponente per il levante fu un errore, ma fortunato. L’intuizione era giusta. Aumentare la spesa pubblica per diminuire le tasse è un errore, ma sfortunato. Non ha nulla di giusto. Per mettere una pezza sull’ennesimo buco, aperto da una sentenza della Corte costituzionale, quindi per consentire alle Regioni quel che già stavano facendo, ovvero utilizzare i finanziamenti destinati alla diminuzione del debito per alimentare la spesa e tenere in equilibrio i bilanci, il governo è costretto ad ammettere, appunto, che la spesa cresce e il debito rimane. Ovvero l’esatto contrario di quel che serve per far credibilmente scendere la pressione fiscale. Lo ripetiamo fino alla noia, ma ci annoiamo meno da quando ha dovuto dirlo anche il ministro dell’economia.

Gliecché, purtroppo, la spesa pubblica è costantemente aumentata, al punto da risultare superfluo interrogarsi sui futuri piani di diminuzione, laddove stiamo ancora vivendo le pratiche di lievitazione. Certo, anche a me è parso di sentire ripetutamente parlare di tagli programmati, che chiamavamo all’italiana, ovvero “lineari”, quando li facevamo seguendo la ricetta del governo labourista inglese, mentre li chiamiamo in inglese, “spending review”, quando non li facciamo. Tema avvincente, ma che ricorda il solido principio secondo cui, in Italia, i problemi non si risolvono, ma passano di moda. Appunto: dopo tanto parlare, per evitare che saltino per aria i bilanci regionali, si corre ad approvare norme destinate a consentire l’aumento della spesa. Si fa rotta verso ponente, sapendo per certo che non si raggiungerà il levante, ma le cascate mortali del debito ingestibile.

Poi, per carità, può anche essere che s’assista alla diminuzione delle tasse sulla prima casa. E’ talmente possibile che sarebbe non la prima, ma la seconda volta. Anzi no, scusate, la terza. Ma sempre accolta come fresca e inedita novità. Poi succederà quel che successe: la pressione aumenta da un’altra parte. Le possibili alternative essendo solo due: a. che si possa aumentare il deficit, quindi poi il debito; b. che diminuisca la spesa.

La prima cosa non è il tema di un conflitto con la Commissione europea, o, per dirla con i meno ragionanti, con la Germania, ma l’oggetto di una guerra che, da troppi anni, gli adulti italiani fanno ai bambini italiani, regalando loro, al posto del ciuccio, l’obbligo di ciucciarsi l’onere delle spese altrui. Ai tanti pensatori elasticizzanti, ai reclamatori di sforamenti, va chiarito che il deficit e il debito non sono le medicine, ma la malattia. La seconda cosa, il taglio della spesa, è talmente ovvia e saggia che tutti dicono di volerla fare. Taluni la fanno, ma meno di quel che serve. I più fanno il contrario.

Le regioni furono lo zerbino sotto cui si nascose una parte del debito pubblico. Operazione fatta da Carlo Azelio Ciampi e iniziata in tema sanitario. La magata, però, ha prodotto un fenomeno ragguardevole: ora lo zerbino fluttua a un metro di altezza. Facciamoci un ponticello sopra, dicono al governo, così quello rimane alto, ma almeno si passa. E buttarlo giù? Non si può, è impossibile, dicono. Vero, è impossibile se si vuole mantenere tutto immutato. Ma se, per dirne una, si mettessero sul mercato le aziende regionali, con un procedimento che porti via con sé anche l’abominevole capitalismo municipale, e se i soldi che s’incassano si spendessero non per finanziare il sardanapalismo insulso, ma l’abbattimento del debito, si otterrebbero due mirabili risultati: meno debito e più libertà nel mercato. Mi rendo conto del dramma: meno posti e soldi da distrubuire.

La politica fin qui praticata, che comprende i provvedimenti cui il governo s’appresta, non risolve un accidente, ma compra tempo. Solo che quel che costava un anno poi è divenuto il costo di un mese, mentre ora si naviga a settimane. Certo che si può andare avanti spostando i problemi e rinviandoli, ma ciò comporta l’accettare d’essere sempre meno ricchi e sempre meno capaci di sviluppo. Ed è quel che siamo diventati, grazie alla bontà e alla socialità di tante politiche insipienti e incoscienti.

Pubblicato da Libero

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