Economia

Political cliff

Political cliff

Gli Usa hanno evitato il Fiscal cliff, ma devono affrontare il più complesso Political cliff. Molte delle cose che si sono scritte sono a dir poco incomplete, quindi tendenzialmente false, a cominciare dall’armonia bipartisan. Prima che tutti comincino a citare le lezioni americane sarà bene che almeno le studino.

Alcuni automatismi, legati a leggi passate, avrebbero portato, se non ci fosse stato l’accordo che c’è stato, a tagli di spesa e maggiori tasse per 600 miliardi di dollari, a partire dal primo gennaio. L’accordo, però, è ampiamente monco, perché lascia impregiudicato sia il problema del debito pubblico che quello del deficit, quindi dei tagli alla spesa pubblica, così rimandando alla fine di febbraio, quando Senato e Camera dovranno tornare a votare per fissare il tetto al debito pubblico. Ricordo che nell’estate del 2011 questo fu un autentico dramma, che contribuì non poco a far crescere il nervosismo di mercati poi orientati a speculare contro i debiti sovrani europei. Proprio l’avere lasciato in bianco le pagine più complicate ha portato alla convergenza di parte dei repubblicani (al Senato, dove la maggioranza è democratica, l’accordo è passato 89 a 8, alla Camera dei Rappresentanti, dove la maggioranza è repubblicana, 257 a 167). La partita politica, insomma, è ancora aperta.

Il presidente, Barack Obama, può cantare vittoria, come ha subito fatto, sul punto relativo al fisco: avevo detto che avremmo aumentato le tasse ai ricchi e lo abbiamo fatto. Piano con le fregole imitative, piano con il dire: facciamo come gli americani. Anzi no, facciamo certamente come gli americani: per i singoli che guadagnano più di 400 mila dollari l’anno, o per le famiglie che superano i 450, l’aliquota passa dal 35 al 39,6%. In Italia è, per i redditi che superano i 75 mila euro, al 43% (più le addizionali, cui si aggiunge un contributo perequativo, giungendo al 48% sopra i 150 mila), ovvero esattamente quelli che Obama ha voluto proteggere. Grazie a questa aliquota, del resto, i percettori di redditi superiori a 400 mila sono una specie in via di estinzione, assai meno numerosi dei Panda.

Cresce, negli Usa, anche la tassa sulle successioni, passando da 35 a 40% per i redditi superiori a 10 milioni di dollari. Da noi è esente solo, e se la successione è in linea retta, quel che sta sotto a 1 milione. Facciamo come gli americani? Ci sto. Anche per quel che riguarda la lotta all’evasione. Ma facciamolo sul serio, non a orecchio.

Scampato il Fiscal cliff resta il pericolo del Political cliff, nel senso che quando torneranno dalle vacanze dovranno affrontare il problema del debito pubblico (che sotto la presidenza Obama è cresciuto del 50%, cosa mai vista in passato) e dei tagli alla spesa. A quel punto la presidenza democratica dovrà pagare il debito contratto con l’ala trattativista dei repubblicani. E mentre non ci vuole moltissimo a fare accordi che servano a non aumentare le tasse, o ad aumentarle per gli scaglioni marginali (si tenga presente che i ricchi veri non hanno redditi rilevanti, perché sono le loro società a garantire un tenore di vita più che soddisfacente), la cosa si fa più complicata quando si tratta di tagliare i soldi che dallo Stato vanno verso cittadini e sistema produttivo. In un Paese dove il 25% degli elettori (i più ricchi) paga la quasi totalità delle imposte dirette e il 50% paga poco e riceve molti trasferimenti. Senza contare che un debito così alto (sommato a un indebitamento privato che da noi non ha eguali) è governabile da chi ha sovranità monetaria, ma non senza pagare prezzi politici. In assenza di crescita sostenuta, che non c’è, l’equilibrio è alquanto precario.

Negli Usa, come da noi, il nodo vero e duro è quello della spesa corrente, quindi del modello di welfare. Se non si affronta quello si corre comunque ai bordi del Political Cliff, nel quale non saranno i ricchi a cadere, ma quella classe media, che è classe generale, in cui s’incarnano le nostre democrazie.

Pubblicato da Il Tempo

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