Economia

Prezzi e pistolotti

Prezzi e pistolotti

C’è poco da fare, al di là delle chiacchiere nelle leggi e nela forza del mercato non crede quasi nessuno. Anche il Presidente della Repubblica, parlando ai cavalieri del lavoro, ha invitato ad una qualche diminuzione dei prezzi. E’ la via sbagliata, non serve. Basterebbe guardare all’esperienza, negativa, del ministro Sirchia: era intervenuto per chiedere la diminuzione del prezzo del vaccino antinfluenzale; non aveva fatto a tempo a cantar vittoria, che gli si è fatto notare che, in Italia, il latte in polvere per bambini costa quattro volte più che in Austria o in Francia.

E non basta: comperiamo quasi tutti i farmaci a prezzi spropositatamente più alti degli altri cittadini UE (salvo il Viagra, e spero non sia la segnalazione di una disfunzione collettiva), ma non abbiamo gruppi farmaceutici nazionali che facciano ricerca di alto livello. Dove vanno, allora, quei soldi? Vanno ad alimentare la catena dell’inefficienza.

In quasi tutta Europa i farmaci di prima necessità, tipo l’aspirina (che noi paghiamo il doppio) si trovano nei supermercati, quando non dai venditori notturni di bibite e quotidiani. Da noi devi andare per forza in farmacia, dove trovi sempre più lussuosi templi della crema e della profumeria. Da noi i prezzi sono più alti perché c’è meno concorrenza, meno libertà.

Non servono i predicozzi paternalistici, ed il ministro Sirchia si è messo nei guai con la storia del vaccino. Se può far diminuire quel prezzo, perché non fa diminuire anche gli altri? Perché il latte sì ed il Tavor no? Perché il governo mi protegge se voglio evitare l’influenza (vaccino), ma se ne frega se la prendo (aspirina)? Tra l’altro, un governo che non riesce a far scendere, usando la concorrenza, il prezzo dei farmaci, è anche un governo che si rassegna a vedere aumentare la spesa pubblica sanitaria, senza che aumenti la qualità e la quantità dei servizi erogati.

E’ chiaro che quella delle suppliche sul controllo dei listini è la ricetta sbagliata. Ma è anche chiaro che la via del paternalismo è più consona alla retorica ed alla cultura di gran parte della classe dirigente, sempre meno in sintonia con la via della competizione, dell’innovazione e della libertà.

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