Economia

Privatizzando la Stet

Privatizzando la Stet

Romba il motore della macchina che condurrà alla privatizzazione della Stet e, compagno Bertinotti permettendo, sembra che l’ultimo problema da risolvere sia quello di avere una Autority in grado di accompagnare e vigilare su questo processo. Ci permettiamo di osservare che le cose non stanno così, e che ben altri soni i problemi da risolvere.

Intanto si deve avere ben chiaro che non assisteremo alla privatizzazione della Stet, giacché risulta fantasiosa l’idea che si possa privatizzare una società quotata in Borsa e che, pertanto, è già privata. Ciò che si può, e si deve, fare è vendere le azioni Stet attualmente nel portafoglio del Ministero del Tesoro. Si tratta di una vendita assolutamente positiva, ma sulla quale è bene intendersi.

Può essere fatta esclusivamente allo scopo di “far cassa”, cioè di fare affluire quattrini nelle casse del Tesoro, e, in questo caso, non avrà alcuna valenza nel mercato delle comunicazioni; oppure può avere un più generale significato politico, accompagnandosi ad un reale apertura di questo mercato ai salutari venti della libera competizione. Si tratta, è evidente, di due cose ben diverse.

Se si trattasse della prima cosa, allora non varrebbe la pena di occuparsene. Non cambierebbe niente, ben si spiegherebbe la scelta di mantenere nelle mani dello Stato il controllo ed il governo della Stet, ed il compagno Bertinotti non avrebbe nulla, ma proprio nulla da temere.

Se, invece, si tratta della seconda, allora non basta, prima della privatizzazione, varare la nuova Autority, si deve, almeno contemporaneamente, rendere possibile il dispiegarsi di una effettiva concorrenza. Ecco, l’impressione attuale e che le cose non vadano in questa direzione.

C’è di più. La vendita delle azioni Stet sarà tanto più veloce e redditizia, quanto più gli investitori potranno contare su una azione capace di assicurare succosi dividendi. Non credo che i risparmiatori, o gli investitori internazionali, vorranno portare i loro quattrini all’altare delle telecomunicazioni italiane, magari per permettere loro di essere anche le telecomunicazioni cubane. E’ più probabile che intendano mettere i loro soldi dove sperano di portare a casa dei guadagni reali, fatti di fruscianti bigliettoni. Come farà, la Stet, ad assicurare una simile, ridente prospettiva?

Alcuni segnali già si colgono. La Stet, infatti, gode di una poderosa rendita monopolistica. Le basta comprimere gli investimenti per riuscire ad aumentare gli utili. Aumentando gli utili, aumenteranno i dividendi.

Qualcuno osserverà, non a torto, che, in questo modo, la Stet corre il rischio di indebolirsi sul mercato, di non cogliere le nuove occasioni, di non mantenersi al passo con i tempi. In una parola : rischia, diminuendo gli investimenti, di invecchiare e deperire. La qual cosa non si vede perché dovrebbe sorridere a coloro che decideranno di affidarle i propri risparmi. Giusta osservazione, dicevamo. A meno che … a meno che il governo, che è l’azionista che ha il dominio della Stet, e che rimarrà tale, non pensasse di conservarla in salute mantenendole il massimo di rendita monopolistica possibile.

Ecco, questo spiegherebbe molte cose. Spiegherebbe, ad esempio, perché si fa un gran parlare della privatizzazione, e non si dedica sufficiente attenzione alla liberalizzazione.

La verità è che, ad onta di tanta retorica liberista, qui il mercato si preferisce dirigerlo, indirizzarlo, governarlo e, già che ci si è, esserne anche gli unici protagonisti. Il compagno Bertinotti, pertanto, si rassereni : il soviet di Roma venderà le azioni Stet, ma ciò non gli impedirà, domani, di occuparsi ancora di nomine e di strategie aziendali.

Condividi questo articolo