E’ meritorio salvare chi si trova in pericolo, purché questo non cancelli né le colpe, né l’esistenza stessa dei rischi. Se si commette questo errore si preparano disastri ancora più grandi. Quattro banche (Banca delle Marche, Carife, CariChieti e Banca popolare dell’Etruria e del Lazio) sono state salvate in extremis, prima che cambi la legge e scattino obblighi ineludibili. Lo si è fatto per tutelare i clienti, che quando depositarono i soldi non avevano idea che la lagge potesse cambiare. Va bene, anche se l’operazione costa al resto del sistema bancario e si riflette sul gettito fiscale. Poi è accaduto quel che era facile supporre: c’è sempre qualcuno che si trova al confine fra i salvati e i dannati. Sicché si pone ora il problema di salvare i piccoli risparmiatori che ebbero l’imprudenza di acquistare azioni e obbligazioni delle quattro banche. Qui le cose vanno meno bene. Il loro salvataggio non può non comportare conseguenze gravi.
Se investi in azioni o obbligazioni non garantite sei tenuto a sapere che corri dei rischi. Tanto che sconsiglierei vivamente a un normale risparmiatore di procedere da solo in acquisti di quel tipo. Si possono fare, naturalmente, ma meglio scegliere prodotti e veicoli che spalmano il rischio su poste diverse e distanti. Se si va a fare spesa per i fatti propri, invece, i rischi sono altissimi. Quando si concretizzano non si può chiedere d’essere salvati (e, del resto, giustamente, in caso di guadagno non è che si sia obbligati alla beneficienza). Qui, però, il caso è diverso, ma nella sua diversità contiene una maggiore gravità.
Fra quei risparmiatori ce ne sono alcuni, tanti o tantissimi che, in verità, non decisero mai di acquistare azioni e/o obbligazioni delle banche fallimentari, ma vi furono indotti dalle banche stesse. Vuoi con l’allettamento, del tipo: prenda questi titoli, lei che è persona avveduta e cliente cui noi teniamo tantissimo, perché oltre a essere sicuri sono anche assai redditizi. Vuoi con ricatti veri e propri: ti concediamo il prestito che chiedi solo se una parte di quei soldi li versi in azioni e/o obbligazioni della nostra banca. Ora che le cose vanno male, quindi, quegli acquirenti spintanei chiedono protezione. Distinguerei: chi ha ceduto al ricatto è in buona parte corresponsabile, tanto che ancora oggi non fioccano le denunce. Lo scrivo in questo modo, consapevole della sgradevolezza, ma credo sia necessario perché quel malcostume non è affatto limitato ai quattro di cui ora si discute. Imparino la lezione, i clienti che sperimentano quel tipo di trattamento: se si vuole essere protetti si deve andare a denunciare. Diverso, invece, per i raggirati allo stato puro. Lì si può introdurre una materasso, per attutire la rovinosa caduta.
In tutti e due i casi, però, può esserci protezione solo a patto che ci sia punizione. Si può allargare l’ombrello ad altri investitori, aumentandone il costo, ma solo a patto che il soccorso alle vittime si accompagni all’incriminazione dei carnefici. Vale a dire di chi la banca ha governato e diretto. Se quelle erano le pratiche, quei banchieri erano dei delinquenti.
Fra meno di un mese entreremo nell’era del bail-in, la nuova norma. La vera grande novità non è nel meccanismo di risoluzione delle crisi bancarie (che pure cambia), ma nell’obbligo di fallire ove ne ricorrano le condizioni. Significa che altri risparmiatori potranno (speriamo di no, ma, insomma, non è improbabile) trovarsi nelle condizioni dei salvati odierni. E non potranno essere salvati. Quindi è igienico che il messaggio sia chiaro: occhio a dove si mettono i soldi, occhio a cosa si compra, azioni e obbligazioni comportano sempre un rischio, che può essere altissimo. La seconda parte del messaggio deve essere netta: il banchiere che adotta quel genere di condotta deve pagarla. Quelli non c’è alcuna ragione di salvarli. Loro, i loro amici, le loro cordate che hanno impiccato non pochi polli. Vanno processati e, se colpevoli, condannati.
Pubblicato da Libero