Il tono è felpato, come di costume, ma la sostanza è puntuta, nel testo letto ieri dal governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco. Molti i concetti qui noti: la ripresa è troppo lenta e devono essere rimossi i fattori interni che la frenano, compreso il cattivo funzionamento della giustizia; occorre ridurre il differenziale fra quel che il lavoro costa e quel che i lavoratori guadagnano (cuneo fiscale); servono investimenti pubblici; i nuovi posti di lavoro sono frutto più della decontribuzione (che sposta costi nel futuro) che non delle riforme. Visco non ha detto, né può dire, che ciò comporta tagli rilevanti nella spesa corrente improduttiva, né che la diminuzione della pressione fiscale è una cosa e i bonus una diversa. Lo aggiungo io.
Anche sul fronte delle banche le sue parole suonano familiari: occorre tagliare i costi fissi, diminuendo sportelli e personale, concentrandosi sui servizi digitali. Sollecitavamo chiarezza circa la nuova normativa sui fallimenti, c’è: la legge va applicata e protegge il contribuente, ma occorre equilibrio per non provocare i danni che si vorrebbero evitare. A quella va accompagnata l’intera applicazione dello spazio bancario europeo, quindi i fondi di garanzia e per le risoluzioni non possono avere una tempistica diversa, e pericolosa, rispetto al bail in. Giusto, ma sostenere che gli aiuti di Stato non sono tali se non alterano la concorrenza richiede uno sforzo logico.
Il nostro debito privato è inferiore alla media europea, quello pubblico drammaticamente superiore. Il debito complessivo è gestibile, ma il secondo deve diminuire molto e non a chiacchiere. Non farlo, non lo ha detto in questi termini, ma quella è la zuppa, indebolisce la politica espansiva della Banca centrale europea, che per noi è assai utile.
Ha ricordato il comportamenti “fraudolenti” di certi amministratori e dirigenti bancari. Purtroppo la vigilanza ha fallito nel prevenirli, sebbene fossero noti. La severa definizione, comunque, conferma la necessità, qui reclamata, che i colpevoli siano puniti in sede penale. E’ la condizione necessaria perché anche i clienti imparino a regolarsi. Chi ha comprato azioni di Veneto Banca (ultimo esempio) ha perso 5 miliardi. Ma comperare azioni non è da risparmiatori, bensì da investitori, inevitabilmente esposti al pericolo. Il risparmiatore può ben approfittare del mercato azionario, ma acquistando prodotti che diversifichino il rischio. Se quelle azioni sono state vendute “fraudolentemente” che il venditore sia punito. In ogni caso è bene che il compratore sia istruito.
Queste “considerazioni finali” meriterebbero l’attenzione del dibattito politico. Invece impegnato in propaganda senza sostanza e proiettato verso un duello referendario dai toni surreali. Che è poi una delle più solide cause dello sfinimento italiano.
Pubblicato da Libero