Economia

Ragionevolezza e patrimoniale

Ragionevolezza e patrimoniale

La patrimoniale è nel programma della sinistra, annunciata da tempo e ribadita. Salvo esserne indeterminata sia la natura che la funzione. Di che si tratta? A che serve? Per scongiurarne il peso elettorale s’è mosso il soccorso dei saggi, che spingono la sinistra sulla via delle dismissioni (vedi, in tal senso, la proposta di Franco Bassanini e Giuliano Amato, non a caso il secondo gran teorizzatore della patrimoniale). La loro maggiore competenza tecnica rende le cose più razionali, ma alimenta l’equivoco: se si fa cassa per abbattere il debito, non per questo si può credere che serva a salvare l’euro, semmai a salvarci dal suo possibile crollo; se, invece, si mettono beni pubblici in contenitori che poi contraggono altri debiti allora non si sa più perché mai i mercati dovrebbero apprezzare un rischio uguale, pagato a un tasso inferiore. Non saranno sinistra di governo finché non usciranno da questi equivoci (non solo loro, naturalmente).

Pier Luigi Bersani non è solo il segretario del partito democratico, ma anche uno degli esponenti della sinistra più dotati di buon senso. Inoltre, per essere stato ministro dell’industria ed avere (meritoriamente) adottato qualche parziale liberalizzazione, è considerato fra i più attenti ai problemi del mercato. Con tali premesse ha esposto il programma economico della sinistra, dando per scontata la prossima vittoria elettorale. Non so se le urne lo deluderanno, so che deludenti sono i suoi propositi.

C’è del buono, come, ad esempio, l’intenzione di esternalizzare il più possibile le funzioni della pubblica amministrazione(noi lo abbiamo fatto con esempi concreti e ricette percorribili), ma manca un’idea che renda distinguibile e accettabile la sinistra di governo. Forse crede che basti ripetere alcune parole, come “Europa”, per colmare il vuoto. Invece sortiscono l’effetto opposto, spalancandolo: “Europa”, oggi, non significa un bel niente, perché il problema è quale, con quali regole e a quali condizioni. Mancando tali risposte resta solo una superstizione.

Dice Bersani che in Europa ci hanno portato loro, quelli della sinistra. E’ una bugia. Di quelle colossali: il suo partito ha sempre votato contro tutte le scelte che sono servite a costruire l’Unione europea. La cosa più europeista che si proposero fu l’eurocomunismo, che era una boiata pazzesca. Ma Bersani vuol significare altro, vuol dire che l’ingresso nell’euro lo si deve a loro, e anche in questo sbaglia, perché anche quella volta votarono contro. Anzi, fecero di più, manifestarono in piazza per opporsi. Difatti, come egli correttamente ricorda, l’euro di oggi è figlio della fine della guerra fredda e della riunificazione tedesca, a sua volta (aggiungo io) figlia degli euromissili e della sconfitta sovietica, patrocinata da governanti di sinistra, in Germania come in Italia, ma non dai comunisti, che si opposero. Dispiace, ma è storia.

In Europa, insiste Bersani, vi abbiamo portati noi, con Prodi, Amato, Ciampi e D’Alema. Qui ha molte ragioni, ma fa finta di non sapere quel che significa: il quartetto incarna la sconfitta della sinistra ideologica, è composto da quella democristiana, da quella socialista anticomunista, dalla tecnocrazia e, infine, con D’Alema, da un vero comunista che si rese utile portando l’Italia nella guerra dei Balcani, al fianco degli Stati Uniti (e lo ricordo per rendergliene merito, sebbene credo non gli piaccia sia detto in questi termini).

Se la sinistra non parte dalla valorizzazione dei propri reali meriti e dalla dannazione di un passato vissuto dalla parte sbagliata e con idee sbagliate, poi le riesce difficile atterrare nella contemporaneità. Non ha alcun senso dire di essere favorevoli alla patrimoniale immobiliare, salvo aggiungere che va praticata con equità e facendo attenzione a chi non può pagare. Non significa niente. La patrimoniale immobiliare c’è di già, e devono pagarla tutti, opulenti e bisognosi, se si vuol spremere di più si deve dare in cambio qualche cosa, come, ad esempio, l’adeguamento del catasto e la diminuzione drastica della tassazione sulle compravendite. Non ha senso nemmeno sostenere il Monti della riforma pensionistica e poi rivendicare quella che cancellò lo scalone, perché così ragionando si fa sembrare preciso e ficcante il ragionare del “ma anche” veltroniano. Non è percorribile la via di chi chiede maggiori protezioni e promette di rimettere mano alla legge sul mercato del lavoro, considerando la presente troppo elastica. Ove ha il difetto opposto. E’ apprezzabile che si abbia in animo di sfoltire la giungla delle municipalizzate, ma è un peccato che, al tempo stesso, non solo le si occupi, ma non si muova un dito quando il popolo viene (ingannevolmente) chiamato a votare sull’acqua lottizzata dai partiti, difendendone la non frizzante municipalizzazione.

La condizione in cui si trova l’Italia richiede non solo idee, ma anche parole chiare. Si devono intendere, distinguendo gli interessi da favorire e indicando quelli da combattere (parlare solo di “rendite” è superfluo, giacché qualcuno considera rendita anche la politica). Bersani, per dirla in modo semplice, ha disegnato la sinistra di domani come la Democrazia cristiana di ieri, sperando che possa ancora stare assieme la conservazione con la socializzazione. Un disegno che non solo non è di sinistra, ma neanche è. Il che va osservato senza mancare di rispetto a un capo politico che pure comprende le necessità, ma non riesce ad affrontarle.

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