Economia

Ripartire dall’energia

Ripartire dall'energia

Ci sono buone notizie che mettono malinconia. La buona notizia è che la Asg, del gruppo Malacalza, s’è aggiudicata un’importante fornitura di magneti e superconduttori, necessari ad una centrare nucleare francese, di nuova generazione, a fusione. La malinconia è indotta dal fatto che continuiamo ad essere tagliati fuori da quella fonte d’energia, mentre dell’eolico e del solare siamo riusciti a farne fonti di scandalo, anziché d’elettricità. Ecco, allora, un tema sul quale il governo potrebbe dimostrare non solo di esistere, ma di avere qualche cosa di serio da dire e fare.

Il successo di Asg, come mette in evidenza lo stesso Davide Malacalza, si deve alla collaborazione con Cnr, Enea, Istituto di fisica nucleare e Università di Genova. L’Italia della ricerca c’è, il tessuto connettivo è resistente, il sistema nervoso reattivo. Si tratta di eccellenze preziose, cui si ha il dovere di fornire quel che manca: un ecosistema interno che sappia farle crescere. Non si tratta di eccezioni, perché altre aziende italiane sono presenti nel mercato mondiale del nucleare: la Demont fornisce impianti di condizionamento alla centrale slovacca di Mochowce; la Termomeccanica si è proposta per le pompe necessarie a dieci nuove centrali indiane; la D’Apollonia lavora nelle centrali in Romania e Argentina; la Tecnospamec fornisce, alla General Electric, il sistema per pulire le vasche degli impianti nucleari (traggo l’elenco da un articolo di Domenico Ravenna, pubblicato da Il Sole 24 Ore). Gli italiani ci sono. Manca l’Italia.

La nostra Corte Costituzionale ha stabilito che la materia energetica, compresa la procedura per la scelta dei siti, è di competenza nazionale. Grazie al cielo, perché la iperbischerata della riforma del titolo quinto della Costituzione ha rischiato di farci vivere il ridicolo incubo delle politiche energetiche regionali. Si deve procedere, dimostrando di sapere fare qualche cosa di più che fissare un appuntamento fra tre anni, solo per posare la prima pietra.

Nell’aprile scorso, dopo avere firmato un accordo di collaborazione con il governo francese, il presidente del Consiglio disse che l’Italia doveva riappropriarsi del nucleare, ma che sarebbe stato necessario spiegare bene la cosa, perché le reazioni dell’opinione pubblica sono, in materia, piuttosto nervose e prevenute. Difatti, da noi è diffuso un vasto e oscurantista pregiudizio antinucleare, dovuto al fatto che fummo troppo pochi a batterci contro i tre demenziali referendum del 1987, mentre la grande maggioranza delle forze politiche e culturali, con i soliti pensatori che hanno solo il coraggio delle opinioni predigerite e più difuse, preferirono accodarsi al vento regressivo e interessato del sole che ride (e del petroliere che sghignazza). Tre referendum nessuno dei quali, non lo si dimentichi, era contro l’energia nucleare.

Ebbene, oggi non dovrebbe essere poi così difficile dimostrare, carte, numeri e realtà alla mano, che il nucleare è una fonte non solo pulita, ma anche assai meno pericolosa, per l’ambiente e per gli esseri umani, del petrolio. Le fughe radioattive verificatesi nel passato non hanno mai avuto un impatto devastante, neanche nel caso del peggiore incidente. Nulla, a confronto di quel che sta succedendo nel golfo del Messico. Incidenti, oltre tutto, dovuti a tecnologia da tempo abbandonata e a gestioni colpevolmente dissennate, come quella sovietica. Il nucleare, in sé, è una fonte ragionevolmente sicura (di totalmente sicure non ne esistono).

Ci si dedichi subito alla ridefinizione delle politica energetica, senza fondamentalismi assurdi, in nessuna direzione. La nostra sicurezza (economica e politica) richiede il ricorso ad una pluralità di fonti. Continuando a bruciare fossili, importando gas, rientrando nel nucleare e sfruttando di più le rinnovabili. Compresi, naturalmente, solare ed eolico. Perché come è incontrovertibilmente vero che un Paese non si regge facendo girare le pale e arroventando i pannelli (come vorrebbero i fondamentalisti del rinnovabile), così è vero che da queste fonti possiamo ricavare molto di più, razionalizzandone la produzione e il consumo, quindi respingendo il fondamentalismo emergente, quello anti-eolico e anti-solare. E’ un mercato, quello energetico, dove molto possono fare tariffe meglio concepite e lo sfoltimento delle agevolazioni, che lo distorcono inutilmente, quando non colpevolmente. Gli investimenti in produzione d’energia, anche per le rinnovabili, non diventano profittevoli nel breve periodo, il che dovrebbe spingere non tanto alle agevolazioni, quanto alla stabilità dei prezzi, in modo da consentire piani finanziari non speculativi o improvvisati.

Questa è materia di governo, in nessun caso delegabile ad autorità indipendenti. Non si devono confondere i doveri dello Stato, consistenti nel rendere possibili e (dove necessario) nell’innescare investimenti nella produzione d’energia, con i controlli a garanzia del mercato, questi sì delegabili. E’ materia su cui si misurano le capacità realizzative e modernizzatici di un governo, così come il suo vivere in un orizzonte temporale non limitato a poche settimane. Il dicastero direttamente responsabile, quello dello Sviluppo Economico, è vacante da qualche tempo. L’importante, però, è che non sia vacante la determinazione politica. Riaffermarla e concretizzarla ora, subito, aiuterebbe a risolvere anche qualche fastidio collaterale.

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