I consumi ancora si contraggono, ma il risparmio gestito cresce in modo impetuoso. Nel solo mese di marzo sono stati raccolti 18,8 miliardi di euro. Il dato migliore dal 1999. Il trionfo della parsimonia? Più probabilmente il crescere della paura. Guardando dentro la gestione di quel risparmio si scoprono cose interessanti, che raccontano come chi può sta cercando di difendersi. Ma anche come riusciamo a impoverirci risparmiando.
La prima domanda è: da dove vengono quei soldi? Non risulta che la ricchezza sia aumentata, sia pure solo per alcune fasce di reddito, talché alimenti quella frizzante raccolta. Difatti i soldi vengono dai conti correnti e dai depositi monetari. Le famiglie li avevano tenuti da parte, pronti ad essere usati, poi hanno capito che gestendoli in quel modo perdevano delle occasioni, mentre a destinarli ai consumi neanche pensano. Quindi cercano gestori capaci di valorizzarli. E fanno bene.
La seconda domanda è: dove vanno? Restando al mese di marzo (ma la proporzione è abbastanza stabile) 14,5 miliardi vanno ai fondi comuni. Fra questi la parte del leone la fanno i fondi obbligazionari, raccogliendone 7,9 (quasi 9 miliardi da gennaio). Significa che la gran parte del nostro risparmio confluisce verso strumenti finanziari che hanno in pancia quantità considerevoli di titoli dei debiti sovrani. E ciò significa che i guadagni dei risparmiatori sono pagati dai contribuenti, quindi dai risparmiatori stessi, che, però, fanno un buon affare (praticamente sicuro, anche se di sicuro non c’è più nulla) rispetto ai contribuenti che pagano e non risparmiano. Dato che chi non risparmia è, prevalentemente, perché non può permetterselo, avete un’idea di quanto il gioco sia ingiusto.
Parte della raccolta viene investita in fondi bilanciati o azionari. I risparmiatori non compiono direttamente delle scelte, si rivolgono (se non sono polli avidi, pronti a farsi spennare) a intermediari professionali, i quali hanno il compito di far fruttare al meglio quei risparmi. Per ottenere il risultato li portano dove la crescita produttiva non è asfittica e rantolante, come dalle nostre parti. Meglio non dimenticare che il mercato globale non ha mai smesso di crescere. Il risultato è che i nostri risparmiatori finanziano la crescita di lande lontane, puntando a un guadagno finanziario inferiore al guadagno produttivo che quelli ne traggono. Detto in modo diverso: i ricchi (noi) provano a campare di rendita finanziando quelli che si arricchiscono più di loro. Qui da noi si investe poco, perché rende poco ed è rischioso. Mentre le aziende italiane che fanno risultati fantastici sono quasi tutte escluse da quel flusso di denaro. Da babbei.
Attenzione, qui si entra in un terreno pulp: il 70% di quei risparmi sono raccolti da fondi di diritto estero. Vuol dire che operatori internazionali si sono messi a fare la raccolta porta a porta, in Italia? No, vuol dire che chi fa quella raccolta si è dotato di veicoli non italiani. In gran parte lussemburghesi. Il che, però, porta a un singolare risultato: mentre il risparmiatore pagherà le tasse in Italia, beccandosi aliquote+patrimoniali (bolli e altro) fra le più alte dell’Unione europea, i gestori che compaiono come lussemburghesi (irlandesi etc.) pagheranno le tasse in quel Paese, approfittando delle aliquote più basse. Nel mentre il governo aumenta retroattivamente la tassazione delle banche e delle compagnie assicurative, per la rivalutazione delle quote Bankitalia, consente a quelle stesse di avere società estere con le quali azzerano i versamenti fiscali in Italia. Che, detto in modo diverso, porta a che il risparmio degli italiani è tassato in capo agli italiani medesimi, ma non a chi lo gestisce.
Questa non è una raffinatezza da scuola d’alta finanza, ma un virtuosismo da palestra circense. Qui lo abbiamo ripetuto molte volte: in Ue la materia fiscale non è oggetto di cooperazione e armonizzazione, ma di differenziazione e concorrenza. Chi ne approfitta (se non viola le leggi) fa bene, ma chi lo accetta passivamente, continuando a tassare spropositatamente, impoverisce l’Italia. Prima di discettare sull’uscirne si dovrebbe provare a entrarci, in Europa. Che comporta abbassamento della pressione fiscale. Consentita da abbattimento del debito e taglio della spesa pubblica. Altrimenti fai il donatore di sangue. Neanche volontario.
Ecco perché quei dati sul risparmio sono istruttivi, né possono essere deamicisianamente liquidati con un luccicone da salvadanaio, perché dimostrano che i consumi non ripartiranno finché la paura d’impoverirsi starà al posto della fiducia nella possibilità di guadagnare di più, e che roba come gli spesometri genera effetti grotteschi, visto che alle grandi ricchezze è consentito quel che a noi piccoli borghesi è proibito: votare con i piedi. Che non significa votare in modo pedestre, ma farlo andandosene via.
Pubblicato da Libero