Economia

Rompere la gabbia

Rompere la gabbia

Quella salariale è una gabbia che va rotta, non creata. La differenza del costo della vita, non solo fra Nord e Sud, ma fra zone diverse (esistono tanti Nord e tanti Sud), è cosa di cui mi sono già occupato. La Banca d’Italia ha reso evidente anche la differenza fra stipendi, nel settore privato. Tutto questo deve essere letto come un’opportunità, non come una condanna, come un vantaggio, non come un ostacolo. Non vedere le differenze equivale a dilapidarne il valore.
La retribuzione non può e non deve essere una variabile legata al costo della vita, ma alla produttività. Ingabbiare tutto in contratti unici nazionali, come si è fin qui fatto, significa arricchire i singoli che vivono dove la vita costa meno, ma, al tempo stesso, impoverire chi sta loro attorno, facendo scemare le occasioni di lavoro. La difesa dell’unicità dello stipendio, vale anche per il settore pubblico, ha la sua radice culturale nel ritenere opportuno che le zone meno sviluppate siano destinatarie di maggiori trasferimenti, come di maggiori sovvenzioni incrociate, nell’errato presupposto che questo favorisca lo sviluppo. Sbagliatissimo, perché questo si limita a favorire i consumi, a beneficio di chi produce vantaggiosamente, quindi a beneficio di aree lontane da quelle meno sviluppate. Per esprimerci con un’immagine, niente affatto rara: lo sviluppo del Mezzogiorno non consiste nel girare in Mercedes fra case abusive e territori amministrati dalla criminalità.
La contrattazione decentrata, l’evasione dalla gabbia dell’uniformità, consente di spostare le attività laddove è più vantaggioso, innescando lo sviluppo e non alimentato il solo consumo. Il che non significa imporre per legge salari differenziati, che sarebbe un modo di procedere da pianificazione socialista, l’esatto opposto della libertà di mercato, ma, appunto, liberare la contrattazione dalla gabbia dell’uniformità. Tocca ad imprenditori e sindacati essere i protagonisti di questa liberazione. Tocca alla politica renderlo possibile. E tocca a noi denunciare chi si oppone o ritarda, mettendo i bastoni fra le ruote della ripresa. Unendo a questo la fiscalità vantaggiosa, e senza mai dimenticare il rispetto della legalità, si porta il Sud in Europa, anziché farne zona di deficienza civile e produttiva.
E’ un’occasione di sviluppo, che nelle polemiche agostane s’appanna dietro lo starnazzare inconsulto di chi è aduso a valutare gli argomenti a seconda di chi li utilizza, incapace di ragionare nel merito. Vogliamo metterla in questo modo? E sia: chiedere la libertà salariale, a fronte di squilibri nel costo della vita, dovrebbe essere la bandiera del Sud e se, invece, è la proposta della Lega ciò segnala un ritardo culturale della classe dirigente meridionale, o, peggio ancora, il suo essere legata a quegli schemi che hanno così fortemente danneggiato il Sud. Serve a poco lamentarsi per il linguaggio, talora urticante, perché la sostanza mette in luce una colpevole inversione delle parti. Prima i meridionali se ne renderanno conto e prima potranno rimproverarlo a quanti pretendono di rappresentarli. Spesso nel chiedere e nel lamentare, piuttosto che nel proporre e nel fare.

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