Economia

Rossignolo docet

Rossignolo docet

Nella scelta industriale di Gian Mario Rosignolo c’è un concentrato di educazione civica e buon esempio politico. E’ una scommessa imprenditoriale, di cui lui ed i suoi figli si assumono il rischio. Si vedrà quanto vincente, ma già oggi istruttiva. Non è un debuttante, ha lavorato tutta la vita, in Italia ed all’estero,

accumulando un discreto patrimonio. Al suo posto, altri non avrebbero dubbi: investimenti finanziari, approfittando delle conoscenze; diversificazione del rischio, portando i soldi a risiedere dove il fisco è meno esigente; avviamento dei figli alle meraviglie della borsa, fra Londra e Wall Street, con un occhio a mandorla. Lui s’è messo a fare investimenti industriali, torna a volere produrre autovetture, mentre altri scappano via, s’è concentrato nella provincia di Torino ed ai figli indica il portone della fabbrica. Chi avesse l’impressione che si tratti di un pazzo, ne trova conferma nel linguaggio che usa e nelle cose che dice.
Nelle interviste che gli hanno fatto parla degli operai, che devono imparare a saldare l’alluminio. Leggendole si apre il cuore: parole così diverse da quelle solite, così distanti dalla comunicazione economica odierna, da essere sopravvissute a fatica. Invece, quella roba lì non è solo importante, è la gran parte del progetto con cui spera di rilanciare Pininfarina e portare, nel mondo, nuovi prodotti italiani. Non è roba buttata giù dai consulenti, non sono immagini suggestive, confezionate da addetti alle pubbliche relazioni, no, è la sostanza di una vita. Un brevetto sul taglio delle lamiere, l’idea che si possano ridurre al 10% gli stampi necessari per costruire una vettura, abbattendone proporzionalmente i costi, la volontà di utilizzare materiali innovativi. La scommessa, insomma, non è giocata cavalcando le onde degli aiuti statali, prendendo in ostaggio i lavoratori e, con quelli, andando a battere cassa, bensì su una specifica idea produttiva. Certo, è ovvio, il tutto è retto da un piano finanziario, ma il nocciolo sta lì: come si taglia, come si stampa e come si salda l’alluminio. Il linguaggio dei produttori, insomma, non quello degli speculatori.
Prendendo Pininfarina, la nuova iniziativa si carica sulle spalle i 900 dipendenti, senza disporre d’incentivi. Con loro prende anche il peso del debito accumulato, per il Tfr, le liquidazioni cui avranno diritto. A loro dice che la produzione ripartirà al più presto, che la loro competenza e la loro esperienza sono beni preziosi, ma che devono prima frequentare dei corsi di formazione. Perché c’è quel benedetto alluminio da saldare, e loro non lo sanno fare, non lo hanno mai fatto. Leggetela in modo diverso: non solo si salva un’industria, non solo si salva il tessuto sociale, composto da tante famiglie, non solo gli operai saranno pagati dall’imprenditore e non dalla collettività, ma ciascuno di loro varrà sempre di più, perché ciascuno accederà a nuove conoscenze e competenze.
La Regione Piemonte compra lo stabilimento, investendo 15 milioni. Poi lo affitta alla Iai (Innovation in Auto Industry), per 650 mila euro l’anno. Rosignolo rileva il ramo d’azienda Pininfarina, pagandolo 2 milioni. Investe 43 milioni per produrre la prima auto e 129, in tre anni, per mettere sul mercato i tre modelli che ha in mente. Questo, mentre la crisi sfianca ancora i mercati. “E’ nei periodi di crisi – dice – che bisogna rischiare. La crisi distrugge, ma serve a ricreare”. Spero i giovani ascoltino queste parole, perché condensano scaffali di buone letture economiche, biblioteche sulla moralità del mercato e contrastano con l’andazzo ristatalizzante che hanno sotto gli occhi. Non solo in Italia.
La ricchezza, ed è questa la lezione che viene da un uomo d’industria, per un imprenditore non consiste nel raggiungimento del benessere, nella conquista dell’agiatezza, nell’accesso al lusso, ma nella possibilità di dare concretezza alle proprie idee e sviluppare le proprie iniziative. Insegue un proprio sogno, battendosi come un leone. “Per divertirmi – sostiene – non ho bisogno di escort, lavoro”. Di questa etica c’è bisogno, non solo nell’industria.

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