Economia

Saccomanni, facce vede

Saccomanni, facce vede

Quello che oggi si presenta alle Camere è il governo Saccomanni. Il ministro dell’economia si trova ad avere libertà e poteri sconosciuti ai suoi predecessori. L’ex direttore generale della Banca d’Italia è l’unico peso massimo che siederà in Consiglio dei ministri, dove troverà qualche peso gallo e tanti pesi piuma. Questi ultimi sono allocati nei dicasteri della spesa, offrendogli quindi la possibilità di intervenire sulla strutturazione stessa delle uscite correnti. Credo Giulio Tremonti, che pure era un accentratore autocrate, abbia più volte sognato di trovarsi in una condizione simile. Qualche volta l’ha pure creduto, ma ha sempre dovuto fare i conti con colleghi gelosi delle loro competenze e bizzosi nel difenderle. A questo si aggiunga che Saccomanni s’insedia nel mentre si apre una finestra temporale positiva, sicché potrebbe effettivamente cambiare direzione alla nostra politica economica. Hic Rhodus, hic salta. L’antico chiacchierone si vantava di avere fatto un salto straordinario, a Rodi. Se ne vantava di continuo. Trovò uno che s’era scocciato e che gli rispose: qui è Rodi, ora salta. Facce vede, per tradurlo nel romanesco che a Fabrizio Saccomanni è caro.

La sua nomina a ministro ha direttamente a che vedere con il suo consolidato rapporto con Mario Draghi (era da lui a cena, la sera prima) e con il ruolo di garanzia nei confronti delle istituzioni dell’Unione e internazionali. I mercati si sono solo acquietati, rosicchiando l’osso lanciato loro dalla Bce, quindi si deve essere pronti. Rispetto a questo ruolo non ho alcuna obiezione. Del resto, nel mentre Pier Luigi Bersani bloccava la costituzione del governo ho sostenuto l’opportunità di rivolgersi a Draghi. Il ragionamento è il medesimo. Si tenga presente che il tempo immediato è ancora incerto, comprendendo anche la pronuncia della Corte costituzionale tedesca sugli strumenti Bce per contrastare la speculazione contro i debiti sovrani e le elezioni in quello stesso Paese. Da settembre in poi comincia la finestra positiva.

Ma se il quadro internazionale è rilevante, non per questo è l’unico da considerare. C’è bisogno, in Unione europea e in Italia, di politiche che puntino alla crescita della ricchezza, altrimenti ogni politica di rigore (pur necessaria) si traduce in salasso dell’esangue, provocandone il decesso. Ma c’è bisogno, in Italia, di ristrutturare profondamente la spesa pubblica, che è poi la versione bilancistica del fare riforme strutturali. Giusto a titolo d’esempio: Confindustria si è già dichiarata favorevole al taglio netto dei trasferimenti statali alle imprese, in cambio di minore pressione fiscale. Lo si faccia, ora. Non sarà certo il nuovo ministro dello sviluppo economico ad avere la forza di preservare un succoso boccone delle proprie competenze. Lo farà la burocrazia ministeriale, ma si potrà azzerarla. Saccomanni è nelle condizioni per assestare un colpo di questo tipo.

Sulla spesa sanitaria ci siamo molte volte soffermati: c’è ampio margine per tagliare rendendo migliore la tutela della salute. Solo che significa incidere la carne degli interessi forti, per restituire ciccia agli interessi diffusi. La stessa cosa vale per scuola e giustizia, dove una vera digitalizzazione comporta tempi e qualità migliori, portando con sé un salto organizzativo che produce minore spesa. Vale anche per i beni culturali, dove resta lo scandalo di un Paese i cui gioielli, e le cui sistemazioni, sono introvabili in rete. La chimera delle dismissioni, tanto di patrimonio quanto di partecipazioni, capaci di produrre liquidità, può essere afferrata, perché il manovratore siederà al ministero dell’economia, mentre gli altri, se non disturbano, possono fare solo i passeggeri. Con queste politiche si possono creare fondi dedicati, dimostrando che i tagli e le vendite saranno spesi a favore di meno tasse (Imu compresa) e più investimenti infrastrutturali. Che è il modo migliore per rendere popolari queste politiche.

Se si mettono in atto si comincia una rincorsa che, dopo settembre, può farci spiccare un salto oggi inimmaginabile. Un po’ come lo spaccone latino. Hic Rhodus, hic salta.

Pubblicato da Libero

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