Economia

Sbudellamento fiscale

Sbudellamento fiscale

Fossi un aborigeno danaroso investirei volentieri i miei risparmi in titoli del debito pubblico italiano, ma a patto di sapere che la pressione fiscale, in quel lontano e simpatico Paese, sarà calante. Osserverei lo spread come indice della cattiva saluta europea, e mi fregherei le mani. Ove, invece, come oggi, mi comunichino che le tasse non fanno che crescere ritirerei il gruzzoletto, perché mi sembrerebbe chiaro che gli italiani sono finiti in una trappola, dalla quale non usciranno vivi. Essendo indigeno della penisola, invece, per antica convinzione e consolidato costume pago le tasse fino all’ultimo tallero, ma lo faccio maledicendo governi, politici e tecnici, la cui incapacità si traduce nell’inseguire la spesa con la riscossione. In questo modo facendoci diventare tutti più poveri.

L’Italia, poi, sta sperimentando l’atroce follia di leggere la questione fiscale avendo inforcato le deformanti lenti del moralismo, giungendo a considerare lussurioso il torchio e invertendo i dati della realtà. Si crede, ad esempio, che sia il governo tecnico ad avere maggiore propensione a strizzare i cittadini, laddove, invece, la manovra del governo Monti ammonta a 20 miliardi, ma quelle del governo Berlusconi arrivarono a 53. Quella di Monti è fatta quasi solo di tasse, ma anche nelle precedenti l’arma fiscale era quella largamente preponderante. Siccome non credo affatto, come il compianto Tommaso Padoa Schioppa, che pagare sia bello, ma che, al più, sia utile ove quei quattrini servano a sostenere lo sviluppo e la redistribiuzione, mentre è dannoso ove, come capita, servono ad essere buttati nella voragine della spesa inutile, assisto inorridito alla corsa collettiva verso la fiscalità usata quale arma d’incattivimento di massa e distruzione di ricchezza.

La facilità e l’impunità politica (nel senso del voto, perché mancano differenze e alternative) con cui si accede alle tasche dei cittadini inducono fenomeni di rincretinimento: il punto non è quanto è pagato uno stenografo parlamentare (più del doppio del ragionevole), ma: che cosa cavolo ci sta a fare uno stuolo di stenografi nell’era del digitale? Qualsiasi resoconto, sia parlamentare o d’altro, è possibile averlo immeditamente disponibile su un qualsiasi sito, a costo tendente allo zero. Ma finché i soldi affluiscono manco se ne rendono conto. Del resto, che vi aspettate da presidenti parlamentari che hanno il coraggio di sostenere che “al netto” gli emolumenti degli eletti italiani sono inferiori alla media europea? Al netto anche il mio reddito (sono un libero professionista) è inferiore, pur essendo, al lordo, alto, per la banale ragione che lo Stato si porta via più del 60%. Parlamentari che rispondo a quel modo sono fuori dal mondo. Non dico di testa, perché si dovrebbe averla.

Facciamo finta che non esistano gli sprechi nella spesa pubblica. Cancelliamo dall’orizzonte questo argomento. Per un attimo. A cosa mi serve lo Stato quando opero nel mercato? Mi serve a far rispettare la legge. Pago, in cambio di certezza. Ma non solo non funziona la legge, non solo i suoi tempi sono causa d’incertezza contrattuale, ma la sua stessa amministrazione fiscale mi nega l’accesso alla giustizia in tempi ragionevoli, così trasformando l’Italia nel palcoscenico ove s’esibisce solo l’accusa. Poi non domandatevi perché gli investimenti esteri scarseggiano.

Il gettito fiscale alimenta incoscienza e conservazione, ma viene sollecitato facendo appello alla salvezza nazionale. Un po’ come chiedere a dei naufraghi che si trovano a mollo nell’oceano di portare il peso dei motori della nave, nel caso tornassero utili. Affogano. Come stiamo facendo noi. Ma preferiamo buttarla sul moralismo, facendo finta di non sapere che colpire ogni forma d’evasione fiscale equivale a far scendere il tenore di vita. Brutta cosa da dirsi? No, è brutto nascondersi la realtà. Certo che l’evasione va combattuta, ma non con una pressione fiscale che, ove rispettata, uccide la bestia ed elimina il problema di mungere e prendere le uova, avendo sventrato sia la vacca che la gallina. In queste condizioni s’è sviluppato un patto sociale tacito e perverso: pressione fiscale alta, ma anche alta evasione. Sotto gli occhi di tutti, compresi quelli dei finanzieri che non pagano quegli stessi esercenti cui i cittadini non chiedono lo scontrino e la ricevuta. Ora, complice l’incapacità di far fronte alla crisi altro che con le tasse, si passa agli atti dimostrativi e alle potenziali retate. Ora si stabilisce che non posso usare liberamente neanche i soldi miei. Ora si danno maggiori strumenti inquisitivi a chi già non è in grado di far rispettare la legge. E mentre lo si fa si sollecita l’applauso moralistico. Non plaudo proprio per niente.

Il debito pubblico va abbattuto con dismissione di beni pubblici. La spesa pubblica va abbattuta privatizzando le gestioni. Poi si abbassano le tasse. Poi si premia chi paga con onestà. Poi si tagliano le mani a chi evade. Se si capovolgono i tempi e gli strumenti ci si sbudella da soli, con i più disonesti che gridano di giubilo e inneggiano alla vendetta, che questo è il modo in cui si mimetizzano i furfanti.

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