Economia

Scherzi cinesi

Scherzi cinesi

Alla terza svalutazione cinese le Borse hanno reagito salendo. Per due giorni s’è raccontato che scendevano  spaventate dal calo del renminbi, ma poi hanno fatto marameo a tale spiegazione. Curioso, inoltre, che tanti (fra i quali anche senatori statunitensi) si siano messi le mani nei capelli, denunciando una proditoria svalutazione competitiva, laddove, al momento, non siamo neanche a un quarto di quanto le altre valute si erano precedentemente svalutate. Singolare che non si sia guardato subito nella direzione più preoccupante: il mercato dei debiti pubblici. Rendono poco, ma per banche e investitori istituzionali cinesi incorporavano la rivalutazione implicita, per mancata svalutazione della propria moneta. Ora basta un 5% a far cambiare i conti. Il che ci riguarda assai più delle sciocchezze lette sul lusso e sulle automobili.

Giusto una parola su quei beni: quando vengono delegazioni cinesi in Italia vogliono essere accompagnate in posti come via Condotti a Roma e via Montenapoleone a Milano. Entrano nei negozi del lusso e ne escono carichi come muli. Tanto che, da un pezzo, ci sono commesse cinesi. Sono scemi? No, è che da noi quelle cose costano meno che da loro, perché i dazi imposti per l’importazione del lusso sono molto alti. Una valutazione di qualche punto percentuale incide per un soffio. In quanto alle vetture: a Shanghai si fanno le aste per le targhe, a Nanchino girano vetture che ne sono sprovviste (gli acquisti sono più veloci delle immatricolazioni). In compenso non circola nessuno, perché il traffico è pazzesco. Il che, forse, incide più di una svalutazione mignon. A Pechino fui affiancato da una Ferrari viola, decorata con cristalli, tipo Swarovsky. Sai che gliene importa del cambio. E’ che ora rischiano l’accusa di corruzione.

La ricchezza senza libertà è stata possibile perché il Paese è stato governato come un’azienda (che non sono posti democratici), investendo l’enorme surplus commerciale in riserve valutarie, a loro volta in abbondante forma di titoli del debito pubblico. Degli altri, statunitensi in testa. La nuova dirigenza, guidata da Xi Jinping, ha promesso una crescita non più basata solo sulle esportazioni, ma anche sul mercato interno. Costanti e considerevoli aumenti salariali sono stati, per questo, inseriti nel piano quinquennale. Che anche il mercato interno possa crescere senza libertà è, al momento, tutto da dimostrarsi. La storia delle due Borse interne cinesi, di cui ci siamo occupati, ne è una dimostrazione: da una parte la loro crescita è stata enorme, sicché il calo, per quanto repentino, un mero aggiustamento; dall’altra un vasto pubblico desideroso d’arricchirsi si sente truffato. C’è anche una bolla immobiliare immensa. Insomma: ci sto a non parlare, ma fin quando mi fai contare i soldi, se posso anche perderli, però, lasciami fiatare. Per la dirigenza è il segno che il terreno si fa scivoloso.

La svalutazione va incontro a un pezzo del proprio mercato esportatore. Roba a basso contenuto tecnologico, progressivamente indebolita dal salire del costo del lavoro. A quel mondo si lancia un osso, ma nulla di più. Il messaggio si manda fuori. Due: a. per anni il mondo ha chiesto alla Cina di far salire il valore della propria moneta, considerando sleale il tenerla artificialmente bassa, eccoli serviti, con l’apertura all’influenza del mercato giusto nel momento in cui l’alta inflazione interna e il rallentamento (vero, ma non dimentichiamo che cresceranno fra il 6 e il 7%) della crescita ne portano la svalutazione, ora mica possono dire ai cinesi di fare i comunisti e continuare a tenere il cambio artificialmente alto; b. ribassando poco si mangiano i margini di guadagno degli investimenti nei debiti altrui, che è come dire che la Cina potrebbe non essere più il Paese disposto a esportare beni in cambio di debiti. Ed è questo il messaggio politicamente, economicamente e geostrategicamente più forte. Nonché preoccupante.

Ricordiamoci che gli Stati Uniti si apprestavano a far risalire i loro tassi d’interesse e che noi europei abbiamo appena cominciato a farli scendere. Noi italiani, poi, la sola voce positiva che possiamo mettere nel bilancio pubblico è la diminuzione del costo del debito pubblico, ottenuto grazie alla Banca centrale europea. Godiamo di quel favore, ma restiamo inerti sul resto. Dal che consegue che prendersela con i cinesi è insensato, considerato che, anzi, crescono le condizioni per loro investimenti da noi (Pirelli ed F2i docet). Il vantaggio sprecato è colpa nostra. A meno che non si pensi di risolverla tornando alla lira e svalutando più di americani, inglesi, europei, svizzeri, giapponesi e cinesi messi assieme. La ricetta perfetta per candidarci a essere personale per le pulizie di casa. Altrui.

Pubblicato da Libero

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