Economia

Scienza della miseria

Scienza della miseria

Se l’economia fosse scienza della miseria, allora sarebbe vero che lavorando ciascuno di meno si potrebbe lavorare in più numerosi. Ma se la si considera arte della ricchezza, quella è una delle più straordinarie cretinerie che circola per il mondo. La Francia delle 35 ore settimanali si è offerta al pubblico ludibrio, e trovo scioccamente dirigista anche che il Parlamento Europeo pretenda di votare i limiti massimi di lavoro. In quell’aula, oltre tutto, il concetto deve essere piuttosto vago e si sono opposti alle 65 ore a settimana, giudicandole inumane. Già le supero, senza ragliare.
Il buon senso suggerisce il contrario: più ed in di più si lavora, più aumenta la ricchezza, più aumentano i consumi, quindi più aumentano le probabilità di trovare buoni lavori. Il problema, pertanto, non è affatto teorico, ma praticissimo: cosa si fa quando il lavoro diminuisce, perché la crescita cala o addirittura recede? In Germania ed in Inghilterra stanno provando a conservare quanti più posti di lavoro possibile, imboccando due strade diverse: i primi diminuiscono i giorni di lavoro, i secondi la paga. Quale scegliamo? Nessuna delle due, grazie. Noi abbiamo il mercato del lavoro più rigido e non abbiamo fatto la ristrutturazione produttiva dei tedeschi, se oggi ci affatichiamo a conservare i posti di lavoro che ci sono perdiamo l’unico aspetto positivo della crisi economica, vale a dire la spinta a cambiare. Se accorciamo a tre o quattro giorni la settimana lavorativa introduciamo una falsa conquista, che serve solo a chiamare in modo diverso le ferie obbligate o la cassa integrazione, ed aumentiamo il tempo libero di persone che hanno meno soldi. Ne aumentiamo il disagio. Se tagliamo il salario, scoppia il finimondo (anche perché ai dipendenti pubblici aumentiamo lo stipendio).
I disoccupati sono destinati ad aumentare, la recessione si farà sentire, proprio per questo è politicamente più vantaggioso puntare sulla flessibilità, ovvero su quel che sarà utile al momento della ripresa, forse già nella seconda parte dell’anno (magari!?), per ripartire. Le risorse statali devono andare alle grandi opere pubbliche ed al sostegno dei disoccupati, mentre destinarle al salvataggio dell’esistente ed alla difesa degli occupati serve a conquistare il passato, non il futuro.

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