Economia

Scilinguagnolo contabile

Scilinguagnolo contabile

Non sarà lo scilinguagnolo a cambiare i numeri dei conti italiani. Né sarà l’aizzare la rissa a vaporizzare la profonda contraddizione politica che indebolisce la posizione italiana: gli aumenti della spesa pubblica corrente, propiziati dalla reclamata “elasticità”, si coniugano al passato prossimo e al presente; la riduzione del debito pubblico si coniuga al futuro; la spending rewiev si coniuga al tempo del mai.

Passando dalle coniugazioni alla contabilità le cose non vanno meglio. La crescita prevista dal governo italiano, per il 2016, era dell’1.6%, la Commissione europea calcolava un più modesto 1.4. Dal punto di vista ufficiale il nostro governo non ha corretto il tiro, ma il presidente del Consiglio ha anticipato che la seconda previsione (che smentisce la sua) gli sembra più realistica. Ma siamo a quattro settimane dal risultato del primo trimestre, che se si assesterà in linea con i trimestri precedenti farà diventare ottimistica e illusoria la crescita dell’1.4. Sostiene il governo, inoltre, che quello in corso sarà l’anno della svolta, con l’inizio della diminuzione del debito pubblico. A parte il fatto che il debito pubblico è già sceso in passato, per poi risalire, talché non basta essere adolescenti per sostenere di essere i primi ad avere scoperto il sesso, vediamo i numeri: nel 2015 il debito ha raggiunto l’inquietante livello del 132.8% in rapporto al prodotto interno lordo; la Commissione, quando ci attribuiva una crescita dell’1.4, calcolava che quest’anno lo porteremo al 132.4 (appena lo 0.2 in meno); il governo, invece, prevedeva di comprimerlo al 131.4, ma sulla base, lo abbiamo visto, di una crescita che ha già smentito. Ora si tengano presenti due cose: a. il solo taglio consistente alla spesa pubblica lo si deve alla diminuzione del costo degli interessi sul debito pubblico: b. la discesa del nostro debito, da parte del governo, è considerata possibile in presenza di una più alta inflazione. Entrambe le cose non dipendono dal governo italiano, ma dalla Banca centrale europea. E’ chiaro a cosa stiamo contribuendo? A indebolire la Bce, rea, secondo i tedeschi, di scelte espansive che inducono gli scialacquatori a non correggere la loro condotta. Come segare il ramo su cui si siede.

Dice il governo che neutralizzerà le future clausole di salvaguardia, messe ancora a presidio dei saldi. Ieri lo ha ribadito il viceministro Enrico Morando: l’iva non aumenterà, grazie al recupero dell’evasione dell’iva. Siamo credibili, dicono, perché le clausole 2015 e 2016 le abbiamo disinnescate. Questo è il punto: facendo salire il deficit e a gettito fiscale crescente. Il contrario di quel che serve per ripartire veramente.

Adesso va in onda la commedia eduardiana, con gli esami che non finiscono mai. I conti italiani sono stati approvati alla fine del 2015, ma, ci raccontano, entro maggio saranno giudicati ancora. Non è così, non si tratta di esami, ma di verifiche contabili: se la realtà è in linea con le previsioni, non c’è nulla da giudicare, altrimenti si deve correggere. E il nostro è il secondo caso. Consci di questo, il governo prova a buttarsi avanti per non cascare indietro, inviato un “position paper” in cui, di fatto, si tirano fuori le cose che scrivevamo nel 2010-2011: dagli eurobond alla negatività del pareggio di bilancio. Solo che i primi sono resi ancora meno realistici proprio dalla condotta italiana, mentre il secondo è stato votato entusiasticamente dallo stesso partito di cui Matteo Renzi è segretario, mentre qui, da rigorista sparagnino, sostenevo che trattavasi di errore. Questo giungere in ritardo è in affanno aggrava l’approssimarsi del fiscal compact. Si poteva sostenere che quegli ostacoli sono troppo alti e pericolosi, ma si doveva farlo prima e nel mentre si tagliava la spesa corrente, si trovavano margini per investimenti e si riduceva il debito. Dirlo ora, a ridosso dell’ostacolo, avendo fatto il contrario, ha un che di patetico.

Il solo punto forte è quello di massima debolezza della Commissione: il desaparecido piano Juncker, per gli investimenti. Ma, anche qui, per non essere inutilmente commoventi non basta reclamarlo, si deve anche essere capaci di mettersi in posizioni di vantaggio. Vedo che, sul sistema bancario, s’è utilmente passati dal chiedere il rinvio di tutto al chiedere l’anticipo del versamento nel fondo di garanzia dei depositi. E’ già qualche cosa. Se riuscissimo anche, sul tema dell’immigrazione, a non limitarci a supplicare che gli altri non chiudano le frontiere, ma a imporre che quelle comuni siano affare comune, saremmo più credibili. L’inverno è agli sgoccioli, fra poco i barconi aumenteranno. Anziché fare i bulli e vantarsi di quel che gli altri sanno non essere vero, sarebbe il caso di puntare sui temi in cui le nostre ragioni superano i torti.

Pubblicato da Libero

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