Economia

Soldi irretiti

Soldi irretiti

La grande partita sulla rete per le telecomunicazioni somiglia alla rievocazioni in costume delle battaglie d’epoca: folklore. Ma la testa di molti è rimasta a quando Berta filava, sicché vorrebbero fregarle il rocchetto. La rete e i contenuti non sono l’uovo e la gallina, dovendosi stabilire da cosa nasce cosa. La prima è un mero strumento, la cui utilità e ricchezza cresce al crescere dell’attrattività e ricchezza dei secondi. Non viceversa. I facchini aumentano il loro lavoro al crescere dei bagagli che ciascuno si porta appresso, non sono i bagagli che aumentano se alla stazione ci sono mille facchini. Compriamo quel determinato smartphone o quel computer perché fornisce i servizi e apre l’accesso ai contenuti che ci interessano, o perché è di moda, ci infiliamo una sim o un cavetto solo perché altrimenti non funzionano. Ma scegliamo il terminale e i contenuti che ci finiscono sopra, non la rete. Che resta condizione necessaria al funzionamento, ma state certi che se la domanda cresce per i fatti suoi nessuno si porrà più il problema degli incentivi per allargare la rete, dacché i soldi li fornirebbe il mercato. Al contrario, invece, ragionare di rete senza ragionare di servizi e di modello di business è come volere una rete da pesca più grande e fitta per poi gettarla nella vasca da bagno: che ci peschi, la saponetta persa?

Per Telecom Italia la rete ereditata è un patrimonio. Il che già ne indica la vecchiezza. Ma nello scontro con alabarde e mazze ferrate, inscenato per la festa di paese, il governo ha pensato di metterla sotto scacco supponendo di poterne cancellare la propaggine finale, il doppino in rame. Se non fosse un’idea comica, contraria a quel che avviene in mercati più aperti alla competizione, sarebbe stata considerata una turbativa di mercato. Poi è sorta l’idea di far stendere la rete a Enel, cosa che ci ha portato a rievocare, qui, il disastro economico che la stessa idea provocò, a carico della medesima società, controllata e diretta dallo Stato. Non mi ripeto, ma trovo confortante che l’amministratore delegato, Francesco Storace, si sia chiesto: “a che servirebbe Enel nella rete?”. A nulla. Lo si faccia capire anche al socialismo borsaiolo delle municipalizzate. La traduzione di “multiutility” non è “multioccupazione” di spazi. Né sarebbe superfluo far notare ai vertici della Cassa depositi e prestiti che essi non sono capitani di finanza, gestori di soldi che i clienti hanno fiduciosamente affidato loro, ma nominati dalla politica per amministrare soldi pubblici. Provino a star zitti almeno una settimana.

La larga manda è un bene? Sì. La banda ultra larga è un bene? Ultra sì. L’Italia è in ritardo? Purtroppo sì. E fa rabbia, perché eravamo all’avanguardia. Prima delle locuste. Ma il grosso svantaggio si concentra nelle connessioni che portano dentro le case e gli uffici. Invece di avviare una pianificazione nazionale, investendo denari dei contribuenti, non sarebbe meglio offrire agli interessati la possibilità di arricchire la loro abitazione e il loro luogo di lavoro? Voglio la larga banda, per farci quello che mi pare, quindi pago (lì potrebbe esserci un incentivo) il filo che mi collega alla più vicina fibra o allaccio digitale. S’intende che avrò uno sconto in bolletta, visto che l’ultimo miglio l’ho fatto a piedi. Meno trippa collettivista, più libertà individuale. Da qui in poi si apre la gara vera: chi riesce a vendermi qualche cosa, che non siano le telefonate gratis, perché quelle le faccio di già, da anni. E’ su questo fronte che il mondo frizza di fusioni e incursioni d’innovatori.

Se, invece, passa il modello che tanto attizza ricorrentemente la politica, ovvero quello delle grandi reti srotolate per dire che ci sono (e per locupletare i fornitori), va a finire che l’investimento pubblico porta ricchezza a quelli che le useranno per farci affari: da Google ad Apple ad altri ancora, eroi del profitto e del marameo allo Stato. E mentre dalle autostrade ottiche m’entrano in casa Tir di merce che mi confina al mero ruolo di consumatore spenditore, il catasto continuerà a chiedermi la firma autenticata, l’anagrafe di andare a dimostrare che sono veramente io e il fisco mi manderà per posta i due codici identificativi, naturalmente diversi da quelli della motorizzazione, della scuola, della sanità, dell’Inps e così via delirando.

Invio questo articolo connettendo il computer al cellulare, da uno sperduto pizzo ove mi trovo per lavoro. So bene di non essere su una pista di Formula 1, ma è anche vero che non ha senso calzare il casco integrale per andare a comprare il latte. Larga la banda stretta l’idea, voi riducete le tasse che io spendo di tasca mia.

Pubblicato da Libero

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