Un meno due per cento, quindi un arretramento del prodotto interno, può, effettivamente, non essere un dramma, specie se messo a paragone con le previsioni che riguardano altri Paesi. Il problema è quello di non far la parte di quel carrettiere investito da un’auto di lusso, da cui scende un ricco signore che, armato di pistola, da il colpo di grazia al somarello ferito, per pietà, e finisce anche il cane, per compassione, talché il nostro carrettiere, sanguinante e sfracellato, si alza e proclama: che culo, non mi sono fatto niente.
La crisi, che ancora attende i consumatori, sarà significativa, ma anche l’occasione per fare quello che, altrimenti, non sarebbe stato possibile. Un esempio di cronaca economica ci aiuta a capire. La Fiat annuncia la firma di un protocollo che potrebbe portare all’acquisizione del 35% di Chrysler, con opzione per salire fino alla maggioranza. La Borsa ha festeggiato per poche ore, poi ha scelto la diffidenza, mentre sui giornali il giubilo continua. Ma non è questo il punto. Se Fiat si espanderà all’estero sarà una buona cosa, ma è anche vero che negli Usa Chrysler conta già su quattro miliardi di dollari di aiuti pubblici, ed Obama ne promette altri a patto che si producano nuovi modelli. Che sarebbe il succo dell’accordo con gli italiani. La posta, quindi, sono i soldi pubblici. Fiat, del resto, ne riceve in Italia sotto forma di cassa integrazione, con cui si finanzia la necessità di alleggerire i costi del personale.
Mi pare, insomma, ci sia più di un motivo per riflettere sull’effetto distorcente dei soldi statali, con il di più che chi faticherebbe in Italia, se non ci fossero, grazie a quelli si mette nella migliore condizione per incassarne anche altri, all’estero. Quegli aiuti, insomma, sono indirizzati ai lavoratori, ma sostengono le aziende. Dato che contengono un’ingiustizia, perché non riguardano tutti i lavoratori, destiniamoli ai disoccupati, al tempo stesso aiutandoli a trovare altro lavoro e, quindi, favorendo l’allocazione di manodopera e competenze laddove sono più produttive, senza parcheggi d’attesa. Si dirà: ma così si danneggiano le aziende. E’ vero il contrario: si favoriscono quelle che hanno una maggiore e meno dipendente speranza di futuro. Questo è il compito della politica, per far ripartire l’Italia.