Ha ragione il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti: l’Italia è un Paese solido. Il messaggio sottostante, rivolto alle agenzie di rating e a quanti acquistano titoli del nostro debito pubblico, è: non mancheremo di fare fronte alle nostre obbligazioni, pagando il dovuto. Lo abbiamo sempre fatto. Chi dovrebbe alzare il sopracciglio non sono le agenzie ma i contribuenti che non evadono il fisco, visto che tocca e toccherà a noi onorare il conto.
Sembra, invece, che il nostro dibattito pubblico rifiuti di prendere atto della realtà. Qualcuno si dice allarmato quando lo spread supera il ‘muro’ dei 200 punti, ma – a parte il fatto che fra 199 e 201 non c’è altra differenza che quella psicologica – è incredibile che non si sappia che da mesi e mesi noi paghiamo interessi più alti di quelli che pagano i greci, il che comporta un progressivo impoverimento. Il nostro spread è da mesi e mesi il più alto d’Europa. Pensare di farne un indice della vita governativa è stolto quanto mangiare pane al cianuro e stare a vedere cosa succede a chi ha masticato l’altra fetta.
Certo che il nostro è un Paese solido. Il nostro debito aggregato, pubblico più privato, è in linea con quello degli altri grandi Paesi europei. Il patrimonio degli italiani è un multiplo del debito complessivo. Le nostre esportazioni crescono. La nostra bilancia commerciale resta attiva (al netto dei prodotti energetici). Visti da fuori saremo anche un po’ originali, ma solidi e per tante buone ragioni anche invidiabili. È da dentro che la visione si fa sgradevole.
Il debito aggregato non è significativamente più alto di quello di altri, ma il fatto che il peso di quello pubblico sia così esagerato ha una conseguenza: il risparmio serve al debito anziché alla produzione. Pessima cosa. Il nostro patrimonio è molto alto, ma perché sia un fattore d’equilibrio si devono mettere in conto le (ulteriori, perché già esistono) patrimoniali, il che – oltre a essere in sé fastidioso – sarebbe suicida in un Paese che denuncia tanta scarsità di redditi, talché sembra d’essere tanti nobili decaduti. Mentre ci sono troppi evasori fiscali. Siamo grandi esportatori, ma il 40% di quelli che potrebbero lavorare non fa un accidenti, eppure non vive in miseria. Avremmo potenzialità di crescita enormi, se soltanto la si piantasse di suggerire l’opportunità di farsi mantenere da altri (ovvero da quelli che non evadono le tasse).
Giorgetti ha ragione, ma quel che dice dovrebbe essere sgradevole agli italiani, non ai mercati esterni. Assicurare al contribuente onesto che pagherà per l’intera vita il costo di debiti che sono stati accesi per altri potrebbe indurlo al nervosismo. Ecco perché si cerca di dirgli che il debito non va ripagato, ma assorbito con la crescita. Giusto. Ma a patto d’essere onesti e, onestamente, le attuali previsioni sono immaginarie. Cosa che le agenzie di rating sanno già. Mentre, per restare a uno e un solo decreto (denominato Asset), al contribuente italiano è stato raccontato che: a. si sarebbe posto un tetto massimo al prezzo dei biglietti aerei ed era falso, come qui anticipato; b. si sarebbero tassate le banche con le mani adunche ed era falso, come qui previsto; c. si sarebbero aumentati drasticamente i taxi e manco questo è vero.
Il governo, di suo, non genera ricchezza: crea le condizioni affinché i produttori ci riescano al meglio. I presupposti vitali sono la stabilità e credibilità del diritto, regole che servano a meglio competere e far prevalere il merito, formazione e informazione acciocché domanda e offerta di lavoro possano incontrarsi. Certo che siamo solidi, ma stamo anche a fa’ ‘na gran caciara. Che sarebbe anche intrigante – benché inelegante – se in danno altrui, ma la stiamo facendo in danno nostro. Questo è il problema e, a dirla tutta, sentir ripetere che anche gli altri non hanno saputo far meglio consegna l’impressione d’essere finiti in una classe di somari in gara di raglio.
Siamo solidi, cerchiamo di non pietrificarci nella troppo loquace inconcludenza.
Davide Giacalone, La Ragione 7 ottobre 2023