Viaggiamo dritti verso la sottomissione alla tutela della Banca centrale europea e al Fondo monetario internazionale. Sarebbe stato saggio negoziare lo scudo e avrebbe dovuto farlo il governo Monti. Adesso ci arriviamo, ma nel modo meno opportuno. Ancora una volta sarà utilizzato il vincolo esterno come unica arma capace di smuovere l’ebete immobilismo interno. E ciò, prima ancora che sconveniente, è umiliante.
Sarà bene non sottovalutare la sceneggiata dell’Iva, anche perché l’hanno vista in mondovisione. La destra chiede che sia cancellato il punto in più, previsto a partire dal primo luglio. La sinistra afferma che quell’aumento sarebbe un suicidio dei consumi, già declinanti. Le opposizioni si oppongono all’aumento, quindi convergono con la maggioranza nel reclamarne il blocco. Insomma: non se ne trova uno che sostenga l’opportunità di quell’aumento. Eppure non ci si riesce. Al massimo, e solo per evitare crisi politiche, ci s’approssima a un rinvio di tre mesi, il cui solo significato è: siamo già in coma, già inerti, già incapaci di agire.
Dovendo coprire tre mesi di mancato gettito aggiuntivo Iva, che poi non sarebbe stato né gettito né aggiuntivo, perché se la gente compra e fattura meno l’Iva cala comunque, ma dovendo onorare un’ipotetica iscrizione a bilancio, la fantasia governativa si rivolge verso la sollecitazione di altro gettito. Vuoi da accise (alcool) o altri balzelli. Far calare le tasse alzando le tasse, questa la ricetta miracolosa. Ricorda Sigmund Freud quando sosteneva che la cocaina è ottima per disintossicare i dipendenti da morfina o eroina. Poi s’accorse che si diventava dipendenti da cocaina. Curare la droga con la droga e le tasse con le tasse.
Perché andiamo dritti verso lo scudo, senza più forza per negoziarlo decentemente? Perché basiamo i conti su numeri che già sappiamo essere fasulli. Sia il calcolo del deficit 2013 che quello relativo al 2014 si riferiscono a ipotesi di pil decisamente più rosee della realtà. Questo significa che forse sforiamo già quest’anno, mentre per il prossimo non sarà disponibile il tesoretto su cui il governo contava. Recessione chiama recessione, dunque, con il debito che cresce in valore assoluto e relativo, cresce anche il suo costo che, spinto anche dal rinculo di liquidità previsto sui mercati globali, a sua volta, pesa sul deficit. Siamo una famiglia che spende più di quel che guadagna, ma non acquista nulla di nuovo. Una famiglia con costi fissi troppo alti e una banda di strozzini da foraggiare. Che fa una famiglia saggia? Taglia i costi razionalizzando i consumi e taglia il debito vendendo parte di quel che ha. Ma la famiglia Italia ha stabilito che non si può tagliare nulla, perché manco sappiamo come cavolo sono composti i costi fissi (spesa corrente), né si può vendere nulla. E allora? Allora si tassa, cioè si prende a chi produce per dare a chi distrugge.
In tutto questo, però, organizziamo sollazzevoli scontri fra gladiatori che si scannano, inzaccherando il pubblico con straordinari schizzi di sangue, zampillante da squarci inferti con il gladio giudiziario. Ma non muore mai nessuno, da diciannove anni sono sempre gli stessi e il giorno dopo li ritrovi belli freschi, ancora nell’arena. E tutto a spese nostre. Mentre, nel frattempo, sono state effettivamente macellate legioni di cittadini incappati nella malagiustizia, siano essi imputati o parti civili, cui i costi dell’inferno giudiziario e la violenza dei provvedimenti cautelari stroncano la vita. Che per loro è una sola, mica plurima come quella dei gladiatori. E se osano lamentare la follia del sistema li si mette prontamente a tacere: incivile, negatore del diritto, nemico della collettività. O, peggio: berlusconiano. Sono gli stessi chiamati a pagare il conto dell’immobilismo, giacché i veri democratici, la gente con coscienza e istruzione, i dotati di sensibilità etica, sono i primi a sostenere che i governi cascano o durano solo in ragione delle vicende giudiziarie di uno solo, mica a seconda che sappiano governare o meno.