Economia

Spesa e regioni

Spesa e regioni

Il dramma siciliano non è la dilapidazione di soldi pubblici, ma la convinzione che nulla possa cambiare. Il dramma italiano è che tutto sembra somigliare a questa dannata situazione. Le denunce, come quelle che Libero continua a fare, devono servire per convincere i più che quel modo di concepire la spesa pubblica non è solo vergognoso, ma pericoloso. Non è solo spreco di quattrini pubblici, è un falò di ricchezze e speranze private.

I tagli governativi alla spesa pubblica sono timidi e insufficienti, ma nessuna riduzione potrà mai essere giusta e profonda se non riguarderà anche le spese regionali. Che, però, sono riparate dall’autonomia assicurata dalla Costituzione. Quelle siciliane crescono all’ombra di un autonomismo sempre più simile ad autolesionismo. Se si vuole tagliare sul serio, e se si vuole farlo per propiziare un futuro degno, si deve affrontare il tema delle autonomie locali, dell’ordinamento regionale e, quindi, si deve mettere mano alla Costituzione.

Il governo Monti ha già ripetutamente sbattuto il muso su materie considerate riserve regionali, quindi non aggredibili dalle forbici statali. Allora si calca la mano su altri tagli, e siccome più di tanto non si riesce, va a finire che i soldi si prendono dalle tasche dei cittadini. Se questo fosse chiaro a tutti sarebbe facile veder sorgere una sommossa popolare contro il demenziale regionalismo cui si è dato vita. Se ai siciliani fosse chiaro che gli scialacquii dei loro amministratori si traducono in povertà collettiva, sarebbe facile vedere meno ossequio e più animosità, meno inchini e più dignità, nei rapporti con questi pomposi e costosi (in)potenti.

Le regioni a statuto speciale avevano un senso prima che fossero create le regioni “normali”. Avevano una particolarità, comunque, fino al 2001. Ma quell’anno fu approvata, da una stolta e cinica maggioranza di sinistra, la dissennata riforma del titolo quinto della Costituzione, che da quel momento assegna a legislazione concorrente materie come: il commercio con l’estero; la tutela e la sicurezza del lavoro; la tutela della salute; la legislazione alimentare; l’ordinamento sportivo; i trasporti e la navigazione; la produzione, trasporto e distribuzione dell’energia elettrica; l’armonizzazione dei bilanci pubblici e così via scardinando lo Stato (l’elenco è lungo). La “legislazione concorrente” prevede che le leggi le facciano le regioni, sulla base di principi nazionali. Non potrà mai esistere l’interesse nazionale finché a ciascuna assemblea regionale è consentito strologare su questioni che la regione non riuscirà, mai e poi mai, a dominare. Per alcune di quelle materie è troppo piccola l’Italia, figuriamoci la regione!

Ciascuna materia, però, crea una riserva esclusiva, quindi una spesa non sindacabile, difesa dalla palizzata costituzionale. Va rasa al suolo. La sinistra la eresse per fare concorrenza alla Lega. E’ un modo deprecabile di fare politica, che porta anche sfortuna. Questo non significa si debba cancellare l’autonomia locale, anzi, al contrario, si deve darle sostanza reale.

I comuni sono l’unica autonomia locale che è parte della storia nazionale. In quel segmento gli accorpamenti non fanno risparmiare e, qualche volta, risultano offensivi. Quelle che vanno accorpate, semplificate e privatizzate sono le aziende municipalizzate, degradate dalla lottizzazione. I grandi comuni devono trasformarsi in aree metropolitane, il che comporta la sparizione delle relative province. Le regioni vanno accorpate, per aree territoriali omogenee. A ciascuno di questi livelli deve essere data autonomia impositiva su tutti i tributi che servano a finanziare le spese direttamente amministrate. Solo facendo coincidere il riscossore con lo spenditore si crea reale responsabilità politica, laddove, al contrario, dividendoli non si sa mai di chi sia la colpa di spese utili non finanziate e spese inutili su cui si largheggia.

Per ottenere questo occorre riformare la Costituzione, il che non è meno urgente che sopprimere il bicameralismo perfetto o dare al governo i poteri per governare. I tagli di Monti ne sono la dimostrazione: senza questa riscrittura non si controlla la spesa, e mentre da una parte si è costretti a tagliare l’essenziale dall’altra resta intonso il superfluo. Inaccettabile.

Torno alla Sicilia: le annunciate dimissioni di Raffaele Lombardo servono appositamente per bloccare una riforma costituzionale, per questo vanno denunciate quale ennesimo imbroglio. Ho scritto che si dovrebbe fare un patto, destinato a delombardizzare la regione, nel senso di cancellare il clientelismo ossessivo e lo sperpero oppressivo fin qui praticato. Apprendo che Pd e Udc avrebbero fatto un’alleanza, comprendente anche un pezzo della vecchia Forza Italia, destinato a vincere le prossime elezioni regionali. Così, in un solo gruppo, si ritroveranno quelli che fecero nascere Lombardo e quelli che lo tennero in vita. Alleati pronti, indifferentemente, a battersi per Monti o per Lombardo. Spero siano battuti, oltre che ridicolizzati.

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