Gli spiccioli sono piccioli. Sembrano poca cosa, ma possono comporne di grandi. Un tempo si faceva l’educazione al risparmio e ai ragazzini veniva fornito il salvadanaio. Ce ne davano in metallo massiccio, a dar l’impressione dei forzieri: mettici una monetina al giorno e avrai un avvenire felice. Poi vennero gli anni dell’inflazione a due cifre, il valore del salvadanaio superò quello del contenuto e non s’ebbe la faccia d’insistere. Ma il principio resta: gli spiccioli sono piccioli. A patto di non disperderli.
È cominciata la solita tarantella, sempre uguale: prima le anticipazioni dei possibili contenuti della ‘manovra’; poi i riassunti di quel che il Consiglio dei ministri approva; quindi gli schemini del disegno di legge presentato in Parlamento, che dovrebbe essere uguale a quello prima approvato ma ci sono delle differenze; si passa allora all’illustrazione degli emendamenti che vengono presentati; intanto ci sono già le palle di Natale sugli alberi, quindi si passa al maxiemendamento, a sua volta illustrato con tante belle figure; e fra Natale e Capodanno arriva l’approvazione non del primo testo e manco del secondo, ma di un terzo che chi lo vota è materialmente impossibile l’abbia letto e non si distingue più cosa fu annunciato da cosa è stato poi approvato.
In questo momento siamo al secondo giro, quello con le pensioni minime che s’aggiornano del 2,2% nel 2025 e dell’1,3% nel 2026, ma avendo come base di calcolo i 598,61 euro precedenti all’aumento del 2,7% dell’anno scorso. Non vi capacitate? Facciamola facile: 3,2 euro al mese. Sdegnata la reazione dell’opposizione, che la definisce un’elemosina. Proprio non riescono a fare la carità di ragionare, come se si dovesse sempre e costantemente fare impressione su un ristretto gruppo di alticci i quali, oltre tutto, hanno una dimestichezza con le monete decisamente superiore. Quel tipo di aggiornamento segue un meccanismo preordinato. Non è una regalia e non è un’elemosina, ma una spesa. Spesa che non soccorre chi ha meno soldi, perché quella cifra non farà la differenza per nessuno, ma s’indirizza verso chi incassa una rendita pensionistica per la quale non pagò i contributi. Vale a dire che chi oggi li paga sta finanziando chi non li pagò. Il che si affianca al mantenimento di Ape sociale, Opzione donna e Quota 103. E siccome il ministro dell’Economia ha, in questo frangente, ricordato quel che chi sa far di conto avverte da anni, ovvero che con questa leva demografica e questo numero di contribuenti previdenziali non c’è sistema pensionistico che regga, quanto sopra significa che chi oggi paga i contributi non avrà il trattamento che oggi sta finanziando per gli altri. Che si sia in maggioranza o all’opposizione dovrebbe essere chiaro che è questo il problema, non i 3,20 euro. Ma anziché confrontarsi ricette diverse si accompagnano suggestioni opposte.
Se però sei anziano e anche poco dotato di quattrini, non sai che fartene della spicciola bontà e dell’indignazione altrui: ti farebbe comodo l’assistenza sanitaria e il non dover prenotare un esame clinico per dopo il trapasso. E del resto, se pensi di voler essere genitore (che è molto bello, mica un supplizio) non sai che fartene del bonus una tantum (e vai di latinorum) a seconda dell’Isee (e vai di burocratese). Ti servirebbero pediatri, scuole, tempo pieno, impianti sportivi.
Ed è questo il punto: la politica di bilancio dovrebbe essere il riflesso contabile delle scelte compiute, come anche il limite che rende al momento impossibili scelte che pur sarebbero giuste; invece la contabilità ha preso il posto delle scelte, perché scarseggiano le idee e nessuno crede di sapere veramente cambiare le cose. Quindi gli uni annunciano epocali minuzie e gli altri ne avversano la micragnosità, senza nulla aggiungere su a chi toglierebbero e come diversamente distribuirebbero. Così una cascata di spiccioli non si cumula per diventare piccioli, ma si disperde per reggere la finzione di picciòli che reggono foglie morte.
Davide Giacalone, La Ragione 25 ottobre 2024
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