Lo spread scende e il debito pubblico sale. Per una volta mi piacerebbe partecipare ai riti della setta degli spreadofili, che per un anno andarono predicando che tutto stava in quell’indice e tutte le cause del male nel governo italiano. Allora rimproverammo loro di non capire che la causa era nell’euro e gli effetti si vedevano anche in altri paesi dell’Unione monetaria. Oggi sarei curioso di vedere la faccia di quei sacerdoti, laddove il rapporto inverso fra spread e debito pietrifica il loro torto. Ma la guerra alle sette, benché giusta, non è poi così interessante. I dati diffusi dalla Banca d’Italia suggeriscono riflessioni rivolte al futuro. E alle scelte politiche.
Lo spread, dunque, è ai minimi da quel dannato 2011, quando raggiunse le stelle. A cosa si deve questo successo (che tale è)? Alle parole della Banca centrale europea e alla determinazione del suo presidente, Mario Draghi. Frapponendosi fra la speculazione e il finanziamento dei debiti pubblici, la Bce ha creato uno spazio temporale nel corso del quale ciascuno avrebbe dovuto effettuare i cambiamenti necessari a non trovarsi nuovamente nei guai. Lo abbiamo fatto? Solo parzialmente. Il nostro più significativo passo in avanti riguarda il capitolo delle pensioni: si è portata a compimento la riforma avviata dal primo governo Berlusconi e poi realizzata da colui che ne fu ministro dell’economia, Lamberto Dini, riforma impostata sulla base delle indicazioni fornite da Onorato Castellino e avversata dai sindacati, dalla sinistra e, infine, dalla Lega. Dopo il governo Dini il cammino fu ripreso da un successivo governo Berlusconi, quando al ministero competente si trovò un esponente della Lega, Roberto Maroni. Cammino interrotto e retrocesso dal governo della sinistra, che cancellò lo “scalone”, mettendolo sul conto dei precari. Cammino completato dal governo Monti, con la riforma Fornero. A parte questo, ben poco. Per non dire nulla. Quel tempo, conquistato dalla Bce, lo abbiamo spredato.
Attenzione agli altri due dati, che accompagnano la discesa dello spread: 1. il debito pubblico continua a crescere, raggiungendo, a giugno, il nuovo record di 2.075 miliardi; 2. la pressione fiscale continua a crescere, generando una raccolta, nei primi sei mesi dell’anno, pari a 189,436 miliardi, con uno spettacolare aumento del 5,1% rispetto ai primi sei mesi del 2012.
Sono due facce della medesima medaglia, che è poi il vero dato politico, di cui ci si ostina a non tenere conto. Lo spread scende perché la Bce fa da scudo, ma quello scudo è credibile perché i bilanci statali non possono sfuggire ai vincoli imposti, sicché noi, non procedendo a tagli della spesa pubblica e abbattimento del debito non possiamo che far crescere il prelievo fiscale. Questo è il cappio che abbiamo al collo, sicché tirare è la meno saggia delle scelte. Prendere tempo, ovvero farlo passare senza fare nulla, adagiandosi su quel solo provvedimento per le pensioni (oramai risalente alla fine del 2011), significa comprare tempo ai danni dei contribuenti. La grande lite sull’Imu assume toni e caratteri sportivamente avvincenti, ma è largamente irrilevante, rispetto a questo scenario. 46,3 miliardi li abbiamo versati solo nel mese di giugno, quando sono giunti a scadenza gli acconti (che erano saldi) di Irpef, Ires e Imu. Per forza che il gettito da Iva diminuisce, perché in queste condizioni la pecunia scarseggia e i consumi si contraggono. E il fatto che si contraggano meno che nel recente passato dimostra solo che si è vicini all’osso.
Fra le voci che hanno portato alla crescita del debito pubblico ci sono gli 8,2 miliardi che abbiamo versato quali aiuti ai paesi euro in crisi. In quel conto l’Italia ha così messo la bellezza di 50,8 miliardi. Alla faccia della propaganda secondo cui noi saremmo alla ricerca di aiuti, o alla balla secondo cui qualcuno ci stia già aiutando. Siamo noi che aiutiamo gli altri. Con una particolarità: prestando soldi ai greci (a titolo di esempio) al tasso concordato del 3% noi regaliamo quattrini ai fratelli ellenici (visto che il Btp decennale, dopo il calo dello spread, resta al 4,17), mentre i tedeschi, facendo la stessa cosa, ci guadagnano, perché prendono denaro dei mercati a tasso reale praticamente nullo. Ripeto: il contribuente italiano sta finanziando l’Ue e i paesi in crisi, il contribuente tedesco non solo non finanzia l’Italia, ma non finanzia nessuno. Inoltre incassa la salvaguardia per le proprie banche, più esposte delle nostre con crediti a rischio.
Morale: il tempo creato dalla Bce non lo abbiamo usato come si sarebbe dovuto e vediamo crescere il nostro debito pubblico anche perché diamo soldi agli altri. In queste condizioni un governo degno dovrebbe essere in grado di garantire non solo rispetto per l’Italia, ma anche di spiegare ai nostri cittadini la convenienza delle riforme. Invece siamo lì a cincischiare sul nulla, a far propaganda con decreti vuoti e a prendere lezioni come se campassimo alle spalle altrui.
Pubblicato da Libero