Economia

Stimati

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Alla fiera delle previsioni economiche il governo mantiene il primato e vince la bambolina dell’ottimismo. Cuor contento il ciel l’aiuta. Riassumendo: per il 2024 la Banca d’Italia prevede una nostra crescita dello 0,6%; il Fondo monetario internazionale si spinge allo 0,7%; il Centro studi di Confindustria azzarda uno 0,9%; il governo è invece convinto che faremo l’1%. Prima che vi appassioniate a questa gara, c’è però da dire che non ha molto senso. Le previsioni sono tali e non si formulano su dati consolidati, bensì su delle stime. Lo scostamento fra le diverse previsioni è notevole, giungendo al 40%, ma su distanze infinitesimali. Stiamo parlando di scostamenti rispetto a dimensioni dello zero virgola. Quindi puntate pure sul vostro preferito, ma nella realtà cambierà relativamente poco. Mentre di due altre cose sembra che nessuno sia disposto a parlare.

L’occupazione cresce, restiamo gli europei che lavorano in meno numerosi, ma pur sempre più che nel passato. Eppure, anche a dar retta alle previsioni più rosee, la produzione di ricchezza – ovvero la crescita del Prodotto interno lordo – non avanza in modo proporzionale. Significa che abbiamo molto lavoro povero, sia nel senso che produce poco valore aggiunto che nel senso di essere poco pagato. Non è una buona cosa, tanto più che il posto dell’Italia nei mercati internazionali è dato dall’alta qualità dei prodotti, non dai salari bassi. Quindi abbiamo un pezzo di mercato produttivo che esporta e che non può perdere produttività, capacità di generare valore aggiunto, altrimenti si rattrappisce; mentre abbiamo un mercato interno che occupa sempre più persone ma con bassa qualificazione, in lavori a basso (o assente) investimento in innovazione e che generano poco valore. In altre parole: un mercato già rattrappito.

Una delle conseguenze di questo processo è che i lavoratori ad alta formazione e qualificazione tendono (giustamente e meritevolmente) a cercare la migliore collocazione delle proprie capacità anche fuori dai confini, mentre quanti si trovano nella condizione opposta rimangono o arrivano da fuori. Il che comporta un costo sociale crescente e una resa decrescente. Non porta bene. Nel caso in cui si trovi oltre le soglie del ridicolo continuare a occuparsi di come si compila una pagella e di come si fa a dire a un somaro che è un somaro senza che si senta offeso e a uno studioso che è bravo senza che si monti la testa, la scuola avrebbe da giocare un ruolo nel qualificare i lavoratori. Tutto sta a farci lavorare dei qualificati.

L’altra cosa di cui nessuno ha voglia di parlare è il Pnrr. Il ministro Fitto è felice di annunciare che sta per essere pagata la quinta rata. Siamo felici con lui. Ma il suo collega Giorgetti ha detto chiaro e tondo che siamo pazzescamente in ritardo, che non finiremo mai entro il 2026 e, comunque, i soldi incassati per ora restano prevalentemente in cassa. Siamo fiduciosi che la questione si risolva, anche perché – se così non fosse – diventeremmo la dimostrazione vivente e straziante che non ha senso generare debito comune europeo per far accelerare la crescita in Paesi che festeggiano il rallentamento con maggiore occupazione. Avremmo da una parte Draghi che spiega a tutti quanto sia vitale disporre delle energie finanziarie per spingere la crescita tecnologica e qualcuno (fra i tutti) che darà di gomito al vicino sussurrandogli: in Italia fanno il contrario. Se poi riusciamo anche a far crescere ancora il deficit e il debito avremo il passaggio dal noir all’horror.

Ho capito che tutto questo è considerato fuori tema, almeno fino alle elezioni europee. C’è da stabilire prima chi arriva prima di chi. Ma resta il quesito: per fare che? L’Italia è stimata, nel mercato globale, assai più di quanto non dicano le stime sul Pil. Accade perché da fuori si vede l’Italia che corre. Dentro, anziché cercare il consenso per far correre tutti, ci si contende quello di chi non vuol neanche correre il rischio. Non un buon modo per essere diversamente stimati.

Davide Giacalone, La Ragione 19 aprile 2024

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