Economia

Sud e tasse

Sud e tasse

Il governo ha posticipato, ad un tempo che speriamo non sia quello del mai, la possibilità di far scendere la pressione fiscale. Una parte d’Italia, collocata prevalentemente al sud, provvede da sola, non pagando le tasse. Era stata annunciata una diminuzione dell’Irap, se non altro per le aziende in perdita, sottolineando l’odiosità di una tassa che si fa sempre più pesante mano a mano che cresce il numero degli occupati, disincentivando l’imprenditore dall’offrire lavoro, ma, ancora una volta, le parole hanno alimentato se stesse. Anche in questo caso, c’è chi, invece, passa direttamente ai fatti: secondo i dati della Banca d’Italia il 61% dell’imponibile, al sud, non sarebbe dichiarato, mentre al centro nord l’occultamento scende al 24%. Che, comunque, non è poco.
Se dall’Irap andiamo alle addizionali Irpef, sempre secondo la medesima fonte, le irregolarità, al sud, arrivano al 19.6%, mentre al centro nord si fermano dieci punti sotto, al 9,3%. La maggiore pratica evasiva, al sud, accompagna, naturalmente, una più larga fetta d’economia sommersa, che vive oltre i margini della regolarità. Del resto, nel meridione vive un terzo della popolazione italiana, che contribuisce solo per un quarto al prodotto interno. Ma sono dati, appunto, che si riferiscono all’economia emersa, diciamo così: ufficiale. E’ lecito chiedersi quanto sia realistica questa fotografia sopra la superficie.
La realtà raccontata da questi dati ha due facce, nessuna delle quali è confortante. Da una parte si può osservare che, essendo il sud d’Italia la più vasta area arretrata e depressa d’Europa, non sarà certo in grado di spiccare il volo se nelle ali si ritrova il piombo della quarta pressione fiscale europea (dati Ocse). Su questa faccia, quindi, l’evasione potrebbe essere letta come un sintomo di vitalità produttiva, come lo strappo del cavallo che spezza le briglie e tenta di lanciarsi al galoppo. Ma l’altra faccia depone in senso opposto, perché tanta evasione è possibile perché nel contrastarla lo Stato mostra, in questo pezzo d’Italia, lo stesso volto che utilizza per gli altri servizi pubblici: paurosamente deforme ed incapace d’articolarsi.
Dalla scuola alla sanità, dalle infrastrutture alla giustizia, se l’Italia è messa male il sud è messo malissimo, se l’Italia arranca, il sud precipita. Non stupisce, pertanto, che tale bancarotta pubblica sia, al tempo stesso, accompagnata e provocata, condita e rinforzata dall’indisciplina fiscale. Ove mai qualcuno abbia dei dubbi, vada pure a servirsi nei tanti mercati a cielo aperto, favoriti dal clima mite e solidamente estranei ad ogni disciplina fiscale. E, si badi, non si tratta di mercati dove si smerciano prodotti illegali, bensì di luoghi dove tante persone dabbene comprano frutta, verdura, pesce e quant’altro serve loro.
La cosa è talmente diffusa da far sorgere un dubbio: e se li lasciassimo fare? Ecco, anche in questo caso togliamoci dalla testa che sia possibile, perché l’economia sommersa è solo in parte un fermento di vitale indisciplina, per il resto è perdita di sovranità nazionale. Nei luoghi dove lo Stato registra i suoi più umilianti fallimenti non vige l’anarchia produttiva, ma la legge delle organizzazioni criminali, che si occupano di amministrare una loro giustizia e mantenere un loro ordine. Quindi, quei dati, da noi citati all’inizio, non sono la comprensibile espressione di una furba ribellione, ma il tragico ritratto del dominio illegale. Sono solo dei sintomi, capaci di segnalare un male devastante.
Se noi ci rassegnassimo a lasciare andare le cose come spontaneamente vanno, ci dirigeremmo verso una progressiva ed irrimediabile frattura dell’Italia. E che lo scenario non sia così irreale lo dimostrano di già i diversi comportamenti elettorali. Ma se, com’è necessario, intendiamo porre rimedio, dobbiamo muoverci verso la restaurazione della legge. Dobbiamo riaffermare la sovranità dello Stato, quale unica alternativa al cedimento verso il lato oscuro dell’economia e del potere, quello criminale.
Solo dopo averlo fatto potremo porci il problema sia delle autonomie locali che delle aree di vantaggio fiscale, quali strumenti di crescita civile e stimolo economico. Anteporli al recupero di sovranità, invece, significa cristallizzare il fallimento e rassegnarsi a vederne crescere gli effetti negativi.
Infine, essere giovani, oggi, al sud, significa essere doppiamente fregati: prima perché giovani in un Paese di anziani protetti ed egoisti, poi perché meridionali, privi di tutela statale e servizi pubblici decenti. Ma stiano attenti a non coltivare, con piangente lussuria, la terza e più grande fregatura: pensare che i responsabili siano sempre gli altri e che delle colpe non riguardino direttamente le loro famiglie, a cominciare da quella di non trovare la dignità per dire basta e mandare a casa una classe dirigente che rappresenta splendidamente il peggio del sud.

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