Tassare per potere detassare è uno sport antico, basato sul raggiro e mascherato da redistribuzione. Giorgia Meloni oppositrice reclamava indignata la soppressione delle accise sui carburanti, ma il governo Meloni (giustamente) le ha reintrodotte dopo che il governo Draghi le aveva sospese. A chi ora chiede quel che Meloni chiedeva il governo Meloni risponde: no, perché quei soldi servono a ridurre il cuneo fiscale (Urso dixit). In Sicilia si dice: di sutta metti ‘n capo e di ‘n capo metti sutta, ovvero il moto inutilmente perpetuo. Ma dietro l’ozioso giochino c’è una questione fondamentale.
Il precedente governo aveva sospeso le accise non per riequilibrare o rimodulare la pressione fiscale, cosa demandata ad altro tavolo e ragionamento, ma perché si era verificata una alterazione del mercato dei combustibili e il prelievo fiscale – che supera la metà del prezzo – la amplificava. Il governo attuale, superata l’alterazione, ha ripristinato la normalità. Ripeto: giustamente. Ma non è il contrario di quel che Meloni aveva detto e su cui aveva raccolto consensi? Sì, lo è. Ma quel che reclamava stando all’opposizione non aveva nulla a che vedere con una patologia momentanea del prezzo e, per fare quel che promise, deve essere capace di rinunciare a quel gettito. Siccome non ci riesce, allora maschera la faccenda con qualche scopo “sociale”. Solo che annunci una tassa social-socialisteggiante sulle banche, puntando ad un gettito immaginario e stilando un testo di cui vedemmo subito l’assai dubbia costituzionalità, e nel frattempo prendi veramente (non teoricamente) un ammontare equipollente dal gettito aggiuntivo consentito dal rialzo del prezzo dei carburanti. Non molto sociale.
Da lustri i governi promettono sgravi fiscali e taluni sostengono anche di averli fatti, salvo che la pressione fiscale o cresce o resta più o meno invariata. Ciò capita perché si insegue la spesa con il gettito, anziché calibrare la spesa sulla base del gettito. Se si vuole far scendere la pressione fiscale si deve essere capaci di contenere la spesa pubblica corrente, se non ci si riesce … di sutta metti ‘n capo… eccetera.
Il prelievo fiscale non solo potrebbe, ma dovrebbe avere scopi di indirizzo e redistribuzione. Esempio: tasso le rendite e in questo modo finanzio l’istruzione che consenta agli svantaggiati di far valere le loro capacità e preparazione; tasso chi ha di più, in modo da finanziare la sanità per chi non può permettersela.
Ma questo a due condizioni. La prima è che il prelievo non superi una determinata quota (ad esempio un terzo del reddito), altrimenti diventa sottrazione di libertà per i privati e allargamento delle scelte fatte dallo Stato spenditore. La seconda è che si sappia chi ha e guadagna di più, altrimenti tasso gli onesti per foraggiare i disonesti. Noi siamo sopra il tollerabile e abbiamo un fisco cieco. Siccome togliergli la benda significa contrastare seriamente l’evasione fiscale a tutti i livelli, senza raccontare la bubbola che riguardi solo i grandi evasori (anche, ma non solo), e siccome questo è impopolare, non porta voti, ecco che: quando sono all’opposizione chiedo di togliere balzelli e quando vado al governo li giustifico con nobili scopi redistributivi che, però, non sono in grado di calibrare, perché ho il fisco cieco. Da una parte, allora, dico che si possono non accettare pagamenti con le carte (superbo errore) e affermo che le tasse sono un <<pizzo di Stato>> (superba bestemmia); dall’altra ti porto via più della metà dei soldi che provi a mettere nel serbatoio.
Asociale e antieconomico. Sullo sfondo ci metto una flat tax che (per quel che veramente significa) non ci sarà mai, e nell’immediato parlo di limature al cuneo fiscale dei redditi più bassi, tralasciando di dire che sono quelli che pagano poco e ricevono assai di più. E così, con tassativa confusione e approssimazione, si scavalla la polemica e si aspetta che le cronache propongano il prossimo problema da truccare anziché affrontare e risolvere.
Davide Giacalone, La Ragione 29 agosto 2023
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