Economia

Tasse, carità e solidarietà

Tasse, carità e solidarietà

Benissimo, non ci saranno nuove tasse per finanziare la ricostruzione nelle zone terremotate. Esattamente come da noi richiesto ed al contrario di quanto molti ritenevano scontato, sia perché incapaci di concepire diversamente l’intervento pubblico, sia perché semplicemente rassegnati. Invece si può e si deve agire diversamente.
Le parole del presidente del Consiglio non lasciano margine ad equivoci: “c’è la sicurezza che i soldi necessari ci sono e che non si trasformeranno in nuove tasse per i cittadini. Ho voluto decidere io, visto che la filosofia del governo è diminuire e non aumentare la tassazione, anche in questa occasione”. Plaudiamo. Il che non significa, naturalmente, privare i terremotati degli aiuti cui loro hanno diritto e che noi tutti riteniamo parte stessa della nostra sicurezza e della nostra tranquillità. Al contrario, piuttosto, non c’induce a dormire tranquilli uno Stato che, ogni volta che si tratta di spendere, per necessità o per scelte voluttuarie, non sa fare altro che tassare od indebitarsi. Anche da questo punto di vista, dunque, l’emergenza nata da una catastrofe naturale può segnare una svolta, un punto di rottura con una tradizione che ci ha reso lo Stato che più tassa e più s’indebita, fra quelli sviluppati.
C’è ancora un altro aspetto, che impreziosisce l’indirizzo finalmente adottato: se fosse vero che, a fronte di maggiori necessità finanziarie, non si può fare altro che mettere le mani nelle tasche dei cittadini onesti, quelli che pagano le tasse, vorrebbe dire che si considera immodificabile l’immane carrozzone della spesa pubblica, nelle cui pieghe si nascondono piaghe di privilegio e rendita. Sarebbe stata la resa, incondizionata e vile, all’andazzo di sempre, rinunciando ad ogni ipotesi di cambiamento. I cittadini avrebbero punito la maggioranza di governo, ma non (solo) perché colpiti da nuove tasse, bensì perché si sarebbero sentiti largamente presi in giro. E dato che non avrebbero potuto punire questa maggioranza votando la sinistra, ovvero il fronte che gode dell’orgia fiscale e teorizza la superiorità morale della spesa pubblica, sarebbe restata loro la sterile, ma al tempo stesso pericolosa via del mandare tutti al Paese delle tasse. Questo.
Ragionando in positivo, invece, va benissimo accompagnare, con la spesa pubblica e la garanzia statale, la spesa privata e l’iniziativa dei cittadini. In tal senso va bene l’idea che lo Stato affianchi, con soldi veri e grazie reali, chi avvia altrove la costruzione della propria casa. Questo è un circuito virtuoso. Così come anche l’appello alla generosità. C’è il modo per fare del bene senza farsi del male: per un breve periodo si erano detassate le donazioni, salvo poi riportarle sotto la scure del fisco, si riprenda, ora, la retta via, a favore dei terremotati, non gravando di tasse le somme che gli italiani vorranno mettere a disposizione della ricostruzione. Usciamo, insomma, dall’appello un po’ misero alla carità, accoppiato all’istinto taglieggiatore che fa pensare ai “ricchi” come pecore da tosare. Mettiamola in modo moralmente sano ed economicamente conveniente: chi destinerà parte dei propri guadagni alla solidarietà, su quelli sia fiscalmente esentato. Per intenderci: se oggi spedisco mille euro ai terremotati, su quelli pago anche le tasse, se ne spedirò diecimila, invece, dovrò poterli togliere dal reddito imponibile.
Non mi piace, e parlo per me, mettere un soldo nel cappello del mendicante, e mi ripugna allungarli ai bambini accattoni, così consegnandoli al racket che li amministra. Ma essere generosi, risparmiando sulle tasse, è un comportamento collettivamente virtuoso, che genera ricchezza. Interiore e materiale.

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