Economia

Tasse, debiti e sovranità

Tasse, debiti e sovranità

La fame fiscale è più alta, e crescente, dove i bilanci sono messi peggio e i servizi di minore qualità. C’è un rapporto inverso fra pressione fiscale e qualità dell’amministrazione pubblica: più è alta la prima più s’abbassa la seconda. Non è solo questa la lezione che si può trarre dallo studio della Banca d’Italia su bilanci e fiscalità locali.

Partiamo dal valore medio della fiscalità regionale, alla faccia della favola sulle tasse in discesa. La Banca d’Italia ha fatto i calcoli su tre fasce di reddito familiare: a. nella fascia alta quei tributi assorbono il 6.7% del reddito disponibile, in aumento dell’1.8% in due anni (2012-2014); b. nella fascia media siamo al 4.5, con una crescita del 5.9; c. nella fascia bassa al 5.3, in diminuzione del 5.2% (stiamo parlando di imponibili Irpef sotto i 18mila euro e famiglie che neanche hanno una vettura). Il gettito della terza fascia è esiguo, sicché la pressione fiscale complessiva è in crescita, a carico del ceto medio e medio-alto (si fa per dire). Le tasse sono cresciute, quindi.

Leggendo la disaggregazione regionale si vede che fra le più esose ci sono la Campania, il Lazio, la Calabria e la Sicilia. Oltre al Piemonte. Il reddito disponibile assorbito da queste regioni raggiunge il 7.9%. Fra le regioni che tassano di più i poveri c’è l’Emilia Romagna, che tassa meno i ricchi (presunti tali). Il rosso, nel tempo, deve essere divenuto un colore cangiante. La Lombardia e il Veneto sono costantemente fra le regioni che prendono meno, dalle tasche dei cittadini. Considerato che il pezzo forte delle spese regionali è la sanità, e facendo appello alle conoscenze statistiche, come anche all’esperienza personale, si arriva da dove siamo partiti: costano meno le regioni che danno di più.

La ragione non è complicata, e il Piemonte ci aiuta a individuarla: se il bilancio è in squilibrio buona parte dell’introito fiscale se ne va per pagare gli interessi e provare a raddrizzarlo, non riuscendoci si apre un’emorragia, destinata ad aggravarsi nel tempo. Lo squilibrio genera ulteriore squilibrio, che va in conto agli abitanti. Non solo, perché la fiscalità regionale, e locale in generale, quindi anche quella municipale, sono cresciute all’ombra di un giusto principio: portare l’esazione nelle stesse mani di chi spende, in modo che ne sia direttamente e distintamente responsabile. Peccato, però, che questo si sarebbe dovuto accompagnare a un taglio corrispondente della fiscalità statale, che non è avvenuto. Il trasferimento, quindi, s’è trasformato in raddoppio.

Torniamo ai bilanci regionali, perché in quelli c’è la lezione più preziosa. Già pratichiamo i trasferimenti fiscali, dalle regioni che raccolgono maggiore gettito a quelle che producono maggiore spesa. Le quali ultime, quando si trovano in difficoltà, battono cassa. All’interno di uno Stato questo è non solo normale, ma giusto. Non avrebbe alcun senso supporre che pezzi d’Italia possano affondare nei debiti, senza che il resto non ne subisse le conseguenze. Purché, però, i soldi che arrivano non siano usati per coltivare i vizi che hanno generato lo squilibrio, altrimenti si entra in un circuito demenziale, talché chi amministra male campa alle spalle di chi amministra bene. Alle regioni in squilibrio, quindi, si deve chiedere che mettano in atto tagli della spesa e ristrutturazione dei servizi. Ebbene: non vi sembra di sentirli in tedesco, questi concetti?

I tedeschi hanno cinicamente approfittato dei difetti strutturali dell’euro, come documentiamo dall’inizio di questa lunghissima crisi, ma il principio secondo cui non puoi essere sovrano con i soldi miei è corretto. Il principale ostacolo a far valere questa ovvia regola non sono i tedeschi, ma i francesi e il loro nazionalismo fuori dal tempo e dal mondo. Quindi, senza rinunciare a far valere le nostre ragioni, per l’immediato passato, è contro quell’ostacolo che varrebbe la pena cercare alleanze. Il punto è: sono pronto a pagare, dal Lazio, per la bancarotta della mia Sicilia, ma non voglio farlo per reggere una classe politica incapace e imbarazzante, e se è normale che chi viene salvato possa essere commissariato, quindi perda sovranità, non lo è affatto che la cessione avvenga verso un’altra regione (verso la Germania, nel caso europeo), dovendo andare verso lo Stato.

Guardando i nostri conti e il nostro fisco regionali, insomma, capiamo di più cosa serve all’Europa: non la spocchia dissoluta di chi non sa amministrare e millanta per sovranità la conservazione dei vizi, ma una sovranità collettiva che rimedi agli squilibri senza creare protettorati o domini. In Italia c’è, usiamola.

Pubblicato da Libero

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