Economia

Telecom, continuità da spezzare

Telecom, continuità da spezzare

Non era e non è in discussione, almeno non qui e non da parte mia, la persona di Carlo Buora. Semmai la sua posizione in Telecom Italia. C’è voluto un tempo lunghissimo perché il nuovo azionista che controlla Telecom, la Telco, ed in questo le banche che lo dominano in attesa si evolva la posizione degli spagnoli,

riuscisse ad indicare i nuovi amministratori: Galateri e Bernabé. Nel corso di quest’interminabile sospensione temporale non solo Buora ha mantenuto la guida della società, ma si è ripetutamente ed autorevolmente parlato di una sua permanenza in quella posizione. Ed era questo a destare le mie perplessità.
Carlo Buora giunse in Telecom al seguito di Tronchetti Provera, e, quale suo uomo di fiducia per la finanza. Ha ininterrottamente condiviso le responsabilità di vertice. Le responsabilità penali sono esclusiva competenza della magistratura, e comunque nessuno le ha contestate né a lui né a Tronchetti. Ma la corresponsabilità amministrativa e strategica nell’azienda che ha visto crescere al suo interno un settore spionaggio, e che in Brasile ne ha combinate di cotte e di crude, sono evidenti. Un altro tempo infinito, quello giudiziario, stabilirà se il gruppo addetto alla sicurezza abbia agito sempre di testa propria, senza mai riferire ai vertici, creando una rete spionistica di cui gli altri erano inconsapevoli. Sarebbe fantastico ed ai miei occhi incredibile, ma se anche così fosse chi dirigeva l’azienda si è dimostrato incapace di accorgersi di cosa accadeva qualche stanza più in là. Non certo una performance ammirevole.
Sono anni che scrivo dell’intreccio oggettivo e non chiarito fra le vicende di Cirio, Parmalat e Telecom Italia, ed è difficile credere che si litigassero lo stesso amministratore, Grisendi, perché trattavasi dell’unico conoscitore del mercato brasiliano. Le cose vengono fuori a poco a poco, ma il quadro d’insieme credo d’averlo descritto per tempo, senza che nessuno sentisse il bisogno di smentirmi. Anni fa raccontai della strana posizione di un consulente libanese operante in Brasile, Nahas, che era pagato da Telecom ma di cui l’ufficio legale di Telecom negava anche solo l’esistenza. Può ben darsi che le povere cose da noi scritte, per giunta su fogli schietti e non letti, non interesassero a nessuno, ma se poi si dimostrano vere, se poi s’accerta che per le vie di San Paolo viaggiavano camionette colme di contanti, se si appura che il destinatario era lo sconosciuto consulente pagato per decine di milioni di dollari, è lecito chiedersi: e di questo nulla sapevano, ai vertici di Telecom? Buora potrebbe rispondere, se parlasse: no, non lo sapevo, non m’interessava, non me ne occupavo (la sua risposta reale potrebbe essere leggermente diversa: se ne occupava personalmente Tronchetti Provera), ma, in questo caso, vi pare che una tale condotta sia da salvaguardarsi come patrimonio di continuità?
Un tempo fu Gherardo Colombo, allora magistrato presso la procura milanese, a dire che occorreva trovare una “soluzione politica” alle inchieste giudiziarie sulla corruzione, onde evitare che finissero per alimentare un immenso mercato dei ricatti. Non se ne fece nulla, come è noto. Resta il fatto che se gli unici controlli funzionanti sono quelli penali, se, ed è inevitabile, questi partono solo dopo che i fatti si sono compiuti, e se impiegano decenni per arrivare a conclusioni che siano individuabili come verità giudiziaria, l’intero corpo sociale, quindi anche economico e politico, si corrompe e corrode. E’ questa la ragione per cui non smettiamo di denunciare la bancarotta della giustizia, che è, in fondo, il prodotto tribunalizio di una vasta bancarotta etica.

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