Economia

Telecom e l’Italia

Telecom e l'Italia

Telecom sembra condannata a rappresentare i deficit culturali, politici ed istituzionali d’Italia. Prima la si è privatizzata malissimo, poi se ne è consentita la scalata in violazione delle regole e per mano di protagonisti che andavano fermati e, invece, trovarono complicità nel governo, successivamente si permise la

rivendita fuori Borsa e, nel mentre la gestione Tronchetti affondava nei propri errori, la si è ricattata politicamente. Una Waterloo del mercato, delle regole, della trasparenza e delle autorità di controllo. Ora, dopo avere piazzato le banche al posto della proprietà e fatto entrare gli spagnoli cui prima s’era impedito d’acquistare, si fa finta di credere che tutto il problema stia nella nuova dirigenza, incapace di dare una strategia a quella che fu una grande multinazionale. Non è, solo, così.
La strategia non c’è e non c’è un’idea razionale di futuro. E’ vero, ma la cosa riguarda l’intero Paese. Prendete i programmi elettorali delle forze maggiori e ci leggete il desiderio di diffondere la larga banda, vale a dire le linee che consentono la trasmissione veloce di dati. Cosa tanto giusta quanto generica ed insignificante. Il fatto è che in Europa ci si lamenta perché la fetta di mercato occupata dagli ex monopolisti è ancora troppo grande, ma da noi lo è assai di più. Ci fu un tempo in cui eravamo leader nella penetrazione della telefonia cellulare, adesso ci manca poco e non avremo più un solo operatore italiano. Il che non m’inquieta certo per nazionalismo economico, ma segnala che abbiamo perso la partita nel resto del mondo, e ci apprestiamo a perderla in casa. Il tutto mentre la distinzione fra fornitori di rete e fornitori di contenuti resta un fatto teorico, del tutto sconosciuto nel settore televisivo, caratterizzando il mercato interno come arretrato.
I gruppi che si sono succeduti in Telecom si sono arricchiti a danno della società, distruggendola progressivamente. L’unica strategia che si trasmettevano era la perpetuazione del monopolio possibile, in qualche caso mutandolo in oligopolio. Oggi, nel mentre le azioni precipitano, che diavolo di nuova strategia si vuole se l’estero non c’è quasi più (non parliamo del Brasile!) e l’Italia non ha politica industriale? Forse si chiedeva un gioco di prestigio, ma il cilindro s’è sfondato.

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