Economia

Telecom irretita

Telecom irretita

Gira e rigira il gran discutere lo si fa sempre attorno alle questioni di giustizia. Che poi sono questioni d’ingiustizia. Ci si distrae, invece, sulle faccende che fuori dai nostri confini vengono seguite con maggiore attenzione, anche per il loro ruolo esemplare. Fra queste la sorte di Telecom Italia, che fu una grande multinazionale italiana, incarnò la peggiore privatizzazione immaginabile e sperimentabile, per poi divenire tema su cui misurare l’affidabilità del sistema-Italia.

La spagnola Telefonica viene descritta, da settimane, come se stesse conducendo un’operazione di conquista, di cose italiane in terra italiana. Magari fosse così! In realtà Cesar Alierta è rimasto in trappola: acquisì la maggiore quota di Telco, a sua volta controllante Telecom, avendo in mente una sinergia. Forse anche una conquista. In ogni caso in un mondo che non c’è più, dato che le Telecom d’Italia e di Spagna hanno il record dell’indebitamento (e quello nostrano è considerato spazzatura). Ora se la ritrova in mano non per l’avanzata dei suoi fantaccini, ma per la ritirata braghe in mano dei generali altrui. Per tale ragione fa tenerezza che il governo italiano chieda ad Alierta garanzie sugli investimenti e l’occupazione: con che soldi? Lui risponde, sincero: continueremo i programmi avviati. Quindi niente investimenti e meno occupazione.

Supporre di fermare l’avanzata spagnola, che è più riluttante che rutilante, mediante il cambio delle regole sull’opa, come chiedono i senatori Mucchetti (Pd) e Matteoli (Pdl), è come cospargere di acido uno taglio che si ha sulla guancia: serve a rendere più ripugnante lo sfregio. Le regole relative sia alla proprietà di azioni Telecom che all’opa sono già state violate, per favorire la scalata di Colaninno e Gnutti. Sponsor il governo D’Alema (che credo ci capì quanto potevano permettergli i dotti studi dell’economia sociale bulgara) e complice la Consob, allora presieduta da Luigi Spaventa (già candidato della sinistra, poi colà collocato). La nostra figura da imbroglioni l’abbiamo già fatta. Cambiare ora, lavorando sulla legge per impedire quel che da anni si accetta, ovvero il controllo mediante patti e in beffa al mercato azionario, non solo è obbrobrioso, ma rischia d’essere la premessa della successiva riacquisizione di Telecom, oramai ridotta a carcassa, con soldi pubblici (leggi: Cassa depositi e prestiti, oppure le Poste, già pronte a prendere il volo). Sarebbe, quindi, operazione formalmente banditesca e sostanzialmente nociva. Un en plein che possiamo risparmiarci.

A dispetto di tutto ciò Telecom Italia può bene avere un futuro non funereo, ma può assicurarglielo solo un piano industriale che contenga idee nuove, puntando non alla sola difesa, ma alla riscossa. La cosa grottesca è che fior di multinazionali delle telecomunicazioni sono dirette da italiani, evidentemente apprezzati per competenza e intelligenza, mentre il management schierato in Italia puntava solo a far quadrare i conti (disastrosamente non quadranti) e assicurare un certo equilibrio fra i fornitori. Senza idee e fantasia falliscono i matrimoni, figuriamoci le società.

Pensare alla rete come a un baluardo di sicurezza è una monumentale corbelleria. Ragionarne come volano tecnologico di sviluppo è più sensato, ma per trovare le risorse si devono chiamare altri gestori a investire. Telecom Italia e la rete devono divorziare, per il bene di tutti, ma poi va messa nel e sul mercato, senza agitare i fantasmi farlocchi dell’italianità. Era una ricchezza nazionale, ma l’hanno depredata e distrutta. Ci si deve buttare nella competizione dei servizi, dalla scuola alla sanità, dalla sicurezza privata al controllo domestico dei consumi energetici, creando occasioni di crescita e preparando prodotti esportabili. Anziché combattere una battaglia del secolo scorso meglio attrezzarsi in un campo in cui possiamo tornare ad eccellere, facendo dell’Italia un laboratorio innovativo. In tal senso approfittando (esatto: approfittando) della necessità di tagliare la spesa pubblica.

Gli spagnoli non vanno respinti, ma consolati. Quando arrivarono furono festeggiati. Prima dell’arrivo già facevano affari (talora pessimi e opachi) con gli italiani di Telecom. Ora si tratta di pugili sfiancati, l’uno all’altro appoggiato. Posta l’umana solidarietà, proviamo a dimostrare che l’Europa latina non è solo un’imitazione mal riuscita del mercato e della competizione.

Pubblicato da Libero

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