Telecom Italia è, oramai, la più grande azienda italiana. E’ una società quotata, ed è la protagonista della più grande, e peggio riuscita, cessione al mercato del ruolo che fu dello Stato. Non è una faccenda privata, ci riguarda tutti, e riguarda chi ha a cuore le sorti del sistema Italia. Per questo ho letto con una certa inquietudine le quattro puntate di un’inchiesta pubblicata da Il Giornale, e l’inquietudine nasce dal fatto che non capivo il senso delle cose che andavo leggendo.
All’apparenza sembrava che quei quattro articoli fossero destinati a sostenere le ragioni di Telecom Italia, nello scontro in atto con i loro soci brasiliani in Brasil Telecom, vale a dire il Banco Opportunity, guidato da Daniel Dantas. All’apparenza sembrava che quelle ragioni fossero divenute davvero forti, dopo che, in Brasile, arresti e perquisizioni si erano susseguiti, ai danni degli indagatori privati della Kroll e dei loro mandanti, appunto Brasil Telecom ed Opportunity. Ma più si leggeva, e meno si capiva. Anzi, a causa di alcuni passaggi si è avuta l’impressione del contrario, cioè che l’inchiesta sia stata finalizzata a screditare Telecom Italia e la sua attuale proprietà. Prenderò ad esempio alcuni punti, che depongono in tal senso. Prima, però, avverto il lettore che a queste faccende ho dedicato molta attenzione in un libro (Razza corsara, edito da Rubbettino), nel quale esamino sia il capitolo della privatizzazione che quello degli affari brasiliani. Nessuno mi ha mai contestato errori (che pure ci saranno). Forse dipende dal fatto che i miei scritti e le mie opinioni sono irrilevanti. Ma, che volete farci, la nostra è una scuola che ha fra i suoi maestri gente come Ernesto Rossi, e siamo teste dure, c’incaponiamo a dir quel che pensiamo e non ci fanno paura le voci grosse. Allora.
1. Cominciamo dalla Kroll, una società d’investigazione quotata al Nasdaq, il soggetto colpito dagli arresti e dalle indagini brasiliane. La stessa Kroll, in Italia, è nota per avere fornito ad Enrico Bondi, commissario di Parmalat, gli elementi per rintracciare (guarda caso anche in Brasile) presunte ricchezze sottratte all’azienda. Il che non significa molto, nel senso che sia per quel che riguarda gli eventuali illeciti commessi in Brasile, così come per le notizie procurate a Bondi, sono in corso accertamenti giudiziari e, quindi, non è da prendersi come oro colato né una cosa né l’altra. Ma serve a dire che non si può nutrire, allo stesso tempo, sullo stesso soggetto, un pregiudizio negativo ed un pregiudizio positivo.
Quel che sarebbe interessante sapere, nel caso Telecom, è se Kroll si sia resa responsabile (o meno) di indagini condotte in modo illecito, o se abbia costruito dei dossier contenenti informazioni false, quindi si sia resa responsabile di calunnia. Ove sia colpevole, di una cosa e/o dell’altra, speriamo che sia condannata. Ma le due cose sono assai diverse.
2. Il fatto singolare è che l’inchiesta de Il Giornale sembra confermare alcune delle accuse ai danni di Telecom Italia. Si racconta, ad esempio, che il capo dell’ufficio legale di Telecom Italia incontrò il presidente del Banco do Brasil a Lisbona, in un albergo. Il brasiliano era anche presidente del fondo Previ, in passato discusso proprio per il comportamento all’interno delle società che controllano Brasil Telecom. Perché s’incontrano a Lisbona? Si tratta di una questione logistica, magari Cassio Casseb Lima era di passaggio, o c’è qualche altra ragione? Il fatto che Telecom Italia ed il fondo Previ tentino un accordo per estromettere Opportunity dal controllo della società telefonica non è, di per sé, illecito o sconveniente. Purché sia trasparente.
Il giornalista racconta che quando i due si accorsero di essere spiati si affrettarono a sgomberare il campo. Già, ma perché non sporsero denuncia? In ogni caso, la descrizione lascia intendere che Cassio Casseb Lima sia un “amico” di Telecom Italia. Ma se così è non deve essere stata una grande idea quella di far filtrare la notizia, visto che, in quelle stesse ore, è stato rimosso dalla presidenza del Banco do Brasil.
3. Scrive Il Giornale: “arriviamo così a marzo 2004. In Brasile, all’insaputa di Telecom Italia, si vocifera di una indagine sulla Kroll”. Ora, quell’ “all’insaputa di Telecom Italia” è degno di essere inserito nelle lezioni sulla psicanalisi, tenute da Freud in quel di Vienna. Che, addirittura, si vociferi all’insaputa di TI, è ipotesi surreale, visto quel che più appresso vedremo. Ma, infine, perché dirlo? La stessa inchiesta racconta che Tronchetti Provera, messo al corrente delle attività investigative della Kroll, abbia dato ordine di verificare e denunciare. Ed ha fatto benissimo, anzi, era l’unica cosa seria da farsi, se si aveva ragione di ritenerle criminose. La stessa inchiesta racconta che è un uomo di TI, l’ex carabiniere Iannone, a rivolgersi alla magistratura brasiliana, e, ancora una volta, ha fatto benissimo. Ma allora, per quale ragione si tiene tanto a dire che nel marzo 2004 non avevano sentore di nulla?
4. Tanto più che dall’inchiesta apprendiamo (non lo sapevo) che Telecom Italia dispone di una struttura investigativa interna. Una intelligence privata, composta, a quel che sembra, da molti uomini che hanno un passato nell’Arma dei Carabinieri. E’ normale? Lo domando perché non lo so. Ricordo di aver letto che strutture simili esistevano in grandi aziende del passato (passato?), e che non avevano una gran fama. Comunque, se quella struttura ce l’hanno, come facevano a non avere sentore di niente?
5. Leggo che c’è stato un incontro, al Four Season di Milano, fra l’amministratore delegato di Brasil Telecom, Carla Cico, ed un non nominato uomo di Telecom Italia. Leggo che, quest’ultimo, viste le cattive esperienze del passato, aveva provveduto a far mettere sotto controllo l’albergo, prima di metterci piede. Leggo, infine, che i suoi sospetti sarebbero stati fondati, dato che, dopo la fine del loro incontro, quando lui era già andato via, la Cico riceve un uomo della Kroll. Dal che deduco, e ci vuol poco, che la Cico era spiata, pedinata, fotografata a sua insaputa. E’ così, od ho capito male?
6. Leggo che la Cico si sarebbe rivolta ad Ubaldo Livolsi per affidargli l’incarico di portare la Brasil Telecom alla Borsa di Milano. E leggo che Livolsi avrebbe rinunciato all’incarico perché avvertito, personalmente da Marco Tronchetti Provera, della presenza della Kroll. Ma la presenza della Kroll, di per sé, non significa nulla, e, forse, Livolsi lo ha anche letto sul giornale che si tratta della società che sta aiutando Bondi. Ragion per la quale, da sola, questa informazione non è un buon motivo per rinunciare ad un incarico. Oltre tutto, chi chiede di quotarsi in un mercato non lo fa certo per nascondere attività illecite. Si tratta di una notizia infondata, o i due si sono detti altre cose? Certo, far sembrare la piazza di Milano come un luogo dove un grande finanziere telefona ad un banchiere d’affari per bloccarne l’attività non è un bel vedere.
7. Secondo l’inchiesta Telecom Italia si sveglia dal sonno fiducioso solo nel luglio del 2004, quando viene recapitato un Cd-rom ove si raccoglie il materiale messo assieme dalla Kroll per Brasil Telecom. L’articolista ci tiene, più e più volte, a far sapere che il mittente era un anonimo. Mha, insomma. La faccenda mi ricorda i romanzi gialli scritti male, dove, ad un certo punto l’autore, non sapendo più come andare avanti, non sapendo come far fare al commissario la figura dell’astuto, introduce l’anonimo. Sarà? Ma, normalmente, gli anonimi hanno un movente: la zitella invidiosa, il marito geloso, lo spione incallito. Qui, qual è il movente?
8. Eccolo, sarebbe un tal Tiago Verdial, già dipendente della Kroll, il quale, essendo finito nel mirino della polizia federale viene licenziato dalla Kroll stessa e, allora, per vendetta, chiede di essere assunto dalla Telecom Italia, facendosi precedere dal regalo anonimo. E qui la trama si fa troppo scadente, diventando incredibile. Insomma, questi della Kroll sono la banda del buco: si fanno scoprire, abboccano alle esche piazzate da Telecom, hanno un collaboratore sotto pressione e lo licenziano. Aridatece Tom Ponzi.
Il lettore consenta un altro avviso personale: anch’io sono stato avvicinato dai signori della Kroll, così poco ammantati di segreto che mi hanno anche lasciato il biglietto da visita. Nel complesso mi sono sembrati zuppi di luoghi comuni ed avidi di notizie che potevano comodamente trovarsi sui giornali. Quel che so e quel che penso, come adesso, lo dico e lo scrivo. Da quel che leggo, anche nell’inchiesta de Il Giornale, ciò che la Kroll avrebbe scoperto è assai meno di quel che si trova nel mio libro (e questa è pubblicità).
9. Eccovi una chicca, tratta testualmente dall’inchiesta: “Il colloquio fra Iannone e Verdial, secretato dalla magistratura carioca, potete leggerlo di seguito nelle sue parti salienti ?”. Ora, vabbene che una magistratura “carioca” può lasciar pensare a qualche cosa di carnevalesco, ma se è secretato, di grazia, com’è che possiamo leggerlo lì di seguito? In effetti sappiamo che Iannone, rappresentando Telecom Italia, aveva ricevuto un Verdial in cerca di lavoro, e gli aveva fatto confessare le sua azioni contro TI, ed al servizio di Kroll, dopo di ché lo aveva invitato a ripetere tutto alla polizia, dove egli stesso si era recato per sporgere denuncia. Lo ribadisco: ha fatto benissimo. Ma mi rifiuto di credere che abbia conservato copia del colloquio, per consegnarlo ad un giornalista dopo che era stato secretato dai magistrati.
10. Di un contatto fra le vicende di Parmalat, in Brasile, e quelle di Telecom Italia scrissi anch’io. Pur non disponendo di spioni privati, sapevo quel che tutti potevano sapere: un uomo di Parmalat era divenuto amministratore di Tim in Brasile. Con il senno di poi, mi pareva significativo. Ma del senno di poi, si sa, son piene le fosse. Però, adesso disponiamo di una dichiarazione di Iannone, il quale nega ogni legame societario o funzionale fra Parmalat e Telecom, ed aggiunge che: “E’ solo una coincidenza che l’ex dirigente di Parmalat, Gianni Grisendi, per un breve periodo di tempo, subito dopo il suo allontanamento da Parmalat, abbia lavorato per Tim”. Accipicchia, due notizione da approfondire. La prima: Iannone sapeva che Grisendi era stato “allontanato da Parmalat”. Come mai, da indagatore provetto, non si è chiesto il perché lo hanno allontanato? La seconda: come mai è rimasto solo un “breve periodo”? ha trovato un atro lavoro o c’è una qualche ragione per la quale non si fu contenti di lui? Sarebbe interessante saperlo.
11. Ma la cosa che ha fatto accendere in me tutte le luci d’allarme è che l’inchiesta de Il Giornale tenta di coinvolgere Tronchetti Provera nella vicenda della CRT. Una compagnia telefonica che Brasil Telecom acquistò, pagando, per colpa degli italiani, un prezzo più alto del necessario. Questa è la conclusione cui sono giunto io, ma è anche la conclusione cui giunge Il Giornale. Solo che Tronchetti Provera non c’entra niente, perché all’epoca Telecom Italia era nelle mani di Roberto Colaninno. Siccome quella è l’origine di tutte le guerre, mi domando: perché si vuole metterla sul conto di chi non c’entra? E perché si dimentica di nominare il vero protagonista? E perché si evita di raccontare l’incredibile, assurda e dilapidante storia di Globo.com?
12. A questo si aggiunga, e concludo, che in tutte e quattro le puntate dell’inchiesta si fa continuo riferimento alla moglie di Tronchetti Provera, definendola “la bella Afef”. Cosa che, in assenza di spiegazioni plausibili, trovo allusivo, quindi fastidioso, per non dire di più.
Di questa spy story maccheronica si potrebbe anche sorridere. Ma il buonumore passa quando si pensa alla condizione in cui si trova la più grande azienda italiana. Nessuno ha risposto alle serie considerazioni fatte da Alessandro Penati (Repubblica, 12 novembre). Nessuno sembra interessato al fatto che il gruppo guidato da Tronchetti Provera continua a non consolidare i bilanci, mentre innanzi alle autorità statunitensi riconosce che la catena proprietaria di Telecom Italia è ovviamente riconducibile a lui ed alle sue società.
Della spy story potremmo non curarcene, e potremmo limitarci a solidarizzare con chi avrebbe subito intrusioni illecite, se non fosse che il tutto si svolge nello strano contesto di una guerra il cui costo è oramai superiore al valore dell’oggetto disputato. Cosa c’è dietro? Perché la nuova proprietà non ha riconosciuto gli evidenti errori commessi dai predecessori, senza per questo cedere alle esose pretese dei soci brasiliani? E perché questa storia finisce nel frullatore delle cose dette e non dette, quando i problemi di Telecom Italia sono altri, urgenti e seri? Lo ripeto: questa non è una faccenda privata. Farebbe bene a distrarsi di meno chi ha il compito di controllare, e chi quello di governare l’economia.