Su Telecom Italia si scontrano a morte i poteri deboli di un’Italia immiserita. Fate uno sforzo, guardate dentro questo pozzo di bugie, per capire dove veramente siamo giunti. Non starò a ripetere le cose qui già scritte, ma datemi dieci minuti, uno per punto, e vi consegno altrettanti buoni motivi per essere arrabbiati, molto arrabbiati.
1. Prodi conosceva benissimo quel che Rovati avrebbe sostenuto nello studio da inviare a Tronchetti Provera. E’ talmente evidente da non meritare ulteriori argomenti. Quel che, invece, non è evidente è che Prodi si è cacciato in questo pasticcio per potere regolare i conti nella sinistra, con D’Alema e con il gruppo che fa capo a De Bendetti. Prodi si sta vendicando di quando lo buttarono fuori da Palazzo Chigi, approfittando della sua dipartita per fare degli affari.
2. Da Palazzo Chigi la sinistra di governo non solo s’intromette nelle faccende di mercato, ma fa direttamente degli affari. Li fece Massimo D’Alema, che ben prima dell’Opa di Colaninno già promise al gruppo di controllo di Telecom (allora guidato da Ifil e con molti bei nomi del capitalismo stitico) che i giorni erano contati. Poi li strafece appoggiando l’Opa ancora prima che fosse lanciata (e nessuno che, su questo, abbia voluto indagare). E li suggellò quando impedì, nell’aprile del 1999, al Tesoro ed alla Banca d’Italia (appositamente convocando Fazio a Palazzo Chigi) di prendere parte all’assemblea con la quale Telecom intendeva difendersi dalla scalata, affrontando uno scontro con Ciampi e con Draghi, che giudicavano pessima la posizione del presidente del Consiglio e che, per sicurezza ed a futura memoria, si fecero mettere per iscritto l’ordine di restare a casa.
3. D’Alema gli affari li combinava senza neanche informare i suoi, tanto è vero che il ministro Piero Fassino telefonava a Carlo De Benedetti per sapere cosa bolliva in pentola per la conquista di Telecom. Confermando non solo di essere un gran telefonatore, ma di non avere il benché minimo problema, da ministro della giustizia, ad impicciarsi, in segreto, delle faccende di una società quotata in Borsa. E lo stesso De Benedetti sosteneva di essere informato di tutta la faccenda da Roberto Colaninno, il quale gli disse che a scalare Telecom “era particolarmente sollecitato dal governo”. Pertanto, prima morale da trarre, quando i pensatori della sinistra, che allora facevano parte di segreterie e commissioni governative, pretendono di dar lezioni di mercato, fate loro un’allegra pernacchia.
4. Allora, come oggi, il centro destra era opposizione. Non si può dire che abbia preso posizioni memorabili allora, non mi pare che sia esistente oggi. Esistere, in politica, significa non solo lamentarsi, ma avere qualche cosa da dire, da proporre, da opporre.
5. Si è poi saputo che almeno nel successivo passaggio di proprietà, quello che portò la Telecom nelle mani di Tronchetti Provera, taluni che non sembrano aver avuto alcun ruolo importante hanno incassato cifre da capogiro, di nascosto, all’estero. Questi, e segnatamente Consorte e Sacchetti, non sono sconosciuti al giro politico e personale di chi allora aveva responsabilità di governo. Io non ne traggo nessuna conclusione affrettata, ma non vi pare strano che nessuno abbia voglia d’indagare, di sapere, di scoprire, di dare ragionevolezza a quel che, altrimenti, sembra folle?
6. Torniamo a Prodi. Dopo avere assistito a tutto questo, dal suo ritiro di allora trombato, disse: “Se io avessi fatto il 2 per cento di quello che sta facendo D’Alema per influenzare decisioni di soggetti privati, aziende quotate sui mercati, sarei già crocefisso”. Ecco, a distanza di qualche hanno Prodi ha deciso di farlo, di mettere le mani negli affari di società quotate, sperando nella stessa impunità che hanno avuto altri.
7. Perché lo ha fatto? Intanto per vendetta. Poi perché si è dato una missione: portare le televisioni di Telecom al Corriere della Sera, sia per ringraziare dell’appoggio elettorale, già allora opportunamente antidalemiano, sia per sottrarle al sonno anticoncorrenziale in cui si trovano e gettarle all’indebolimento di Mediaset. Inoltre, la sua natura lo porta ad amare il capitalismo asfittico ed assistito, pertanto l’idea di un Tronchetti Provera che si affranchi veramente dai debiti lo disturba.
8. Tronchetti Provera ha responsabilità enormi. Per anni si è occupato di potere e non ha portato a Telecom alcun valore aggiunto di tipo strategico, non ha avuto alcuna attenzione al mercato delle tlc. Inoltre ha coperto le magagne della gestione precedente (che, del resto, gli era rimasta al fianco) e si è arrogantemente incaponito a gestire in modo a dir poco improprio le partecipazioni all’estero. A questo si aggiunga il buio capitolo delle intercettazioni telefoniche e, quanto meno, l’assoluta insensibilità con la quale ha sottovalutato il valore negativo dell’avere annunciato la creazione di una vera e propria centrale d’ascolto. Bruttissime storie, ancora tutte da chiarire. Ha voluto fare il mago della finanza, ma l’alchimia gli ha bruciato le mani.
9. Tutto questo racconta di un capitalismo italiano chiuso in se stesso, incapace di occupare mercati internazionali, ripiegato nello sfruttamento della ricchezza accumulatasi con gli investimenti pubblici, inadatto a tutto, se non a campare di rendita. E racconta di una politica immiserita nella lotta fra camarille, inacidita dal desiderio di avere vendette, cieca ad ogni interesse che non sia quello dei sempre più deboli mandatari economici. E’ la storia dei poteri deboli, sempre più deboli, che rischiano di affondare l’Italia perché forti solo nel piccolo stagno nazionale.
10. Quel che sta accadendo, quel che accadrà fra poco, noi lo abbiamo già raccontato ne Il Grande Intrigo. E’ tutto scritto, i personaggi sono sempre gli stessi, la trama si ripete, come in una Telenovelacom. Ed il conto lo paghiamo noi tutti, con i risparmiatori spazzolati ed il mercato violentato, con le Autorità assenti, con la giustizia che funziona, diciamo così, a corrente alternata. Verrebbe da dire che, dalla malaprivatizzazione ad oggi, la storia da noi raccontata meriterebbe una commissione parlamentare d’inchiesta. Ma occorrerebbe un mondo politico degno di questo nome.