Non basta la pressione, non son paghi del moralismo, siamo giunti al terrore fiscale. C’è chi perde la testa abbandonandosi, inammissibilmente, alla violenza su altri o su sé, ma non è che la testa di chi amministra la faccenda sia del tutto fredda e razionale. Dirlo sarà anche fastidioso e urticante, ma necessario, perché le ricadute di questa stagione, dei suoi riti e delle sue arroganze, ce le trascineremo dietro per anni, al termine dei quali vedo già lo sbocco forzato: il condono. Il terrore fiscale prende corpo proprio quando il governo pensa di mostrare il volto umano, quando tende la mano verso i cittadini presi in ostaggio: e va bene, suvvia, se si commetteranno degli errori nel calcolo dell’Imu stiamo prendendo in considerazione l’ipotesi (notare la modalità espressiva) di non mettere sanzioni; e va bene, dai, introduciamo in legge fiscale l’abuso di diritto, ma ne depenalizziamo gli effetti. Sono delle aggravanti, non dei passi in avanti.
La sanzione per chi commette un errore di calcolo, o di compilazione, semplicemente non dovrebbe mai esistere. Non è che, carinamente, ci si mostra disponibili a discuterne, no: è un tema osceno, perché tradisce una mentalità da Stato dispotico, secondo cui è il cittadino a doversi adoperare per comprendere e ossequiare la norma, non la legge a dovere essere chiara e gli obblighi che ne derivano non prestarsi ad equivoci. L’errore, poi, non nasce perché il cittadino è un deficiente, ma, semmai, per la deficienza con cui si compilano gli editti fiscali. Costringendo ciascuno a vivere nel terrore di non essere in regola.
Io, come tantissimi altri, non solo pago le tasse, ma ne pago anche per riuscire a pagarle, portando lavoro al commercialista. Può darsi che sia cretino alla nascita, ma non saprei adempiere a nessuno dei numerosissimi obblighi e onorare le continue scadenze, da solo. Il che non è affatto normale, tanto più che l’ottimo professionista che mi segue spesso mi aggiorna dicendo: adesso dobbiamo pagare la gabella tale, ma non so dirti a quanto ammonta perché non ci hanno ancora detto come si calcola. E’ vero che “ignorantia legis non exusat”, ma neanche l’ignoranza di chi le scrive dovrebbe essere ammessa.
In uno Stato di diritto, abitato da cittadini e non da sudditi, si paga non l’errore, ma il tentativo di sottrarsi ai propri doveri o l’avere infranto la legge. Quello di cui si sente il bisogno non è la benevolenza dell’esattore, ma la certezza del diritto e del dovere. Se così non è la colpa ricade sul governante e sul legislatore, non sul cittadino.
Il fatto è che a chi governa, oggi, il terrore piace. Torno sul tema dell’abuso di diritto, perché è gravissimo. Si è fatta una gran confusione con la depenalizzazione dell’elusione fiscale, dimenticando (o non sapendo, per ignoranza), che mentre in uno Stato di diritto si scrivono le sentenze aderendo alla legge da noi sta succedendo il contrario: si scrivono le leggi copiando dalle sentenze. E non contenti di questo, non contenti di volere dare valore di legge al principio che il cittadino (e l’impresa) non solo deve rispettare la legge, ma deve stare bene attento a scegliere, nel bordello di norme e regolamenti, quelle per lui più onerose, giacché il rispettare la legge e il farlo traendone convenienza diventa un “abuso”, non contenti di questo abominio si sono spinti a sostenere che il professionista che ti abbia assistito in tale operazione, che ti abbia guidato nel rispetto della legge e nella ricerca della convenienza, ne risponde personalmente e patrimonialmente. E’ pazzesco. E’ terrorismo. Così si trasforma il commercialista nell’ennesimo esattore al servizio di uno Stato teocratico, nel quale non vale la regolarità formale (l’unica controllabile), ma anche quella dell’animo, dell’intenzione, del pensiero recondito.
Non accetto il ricatto. So benissimo in che condizioni ci troviamo, anche perché le vedemmo e descrivemmo per tempo. So che a chi governa in funzione commissariale non si possono chiedere miracoli. Che senza tagli e vendite c’è la sola strada dell’imposizione. Lo so, ed è per questo che preferisco le altre due. Ma so anche che se per far cassa si scassa il diritto e si umiliano i diritti, alla fine del percorso non c’è lo Stato risanato: c’è la distruzione dello Stato.