Economia

Tesoretti

Tesoretti

Basta pronunciare il termine “tesoretto” che già ci s’impoverisce. Si tratta di un concetto sbagliato in sé e che non può che portare a commettere errori. Suppone di avere o scovare un tesoretto chi sa bene di non avere margini per ulteriore spesa pubblica ma, grazie a fondi che non si è stati capaci di spendere o a maggiore gettito fiscale, nel predisporre le spese future si accorge di avere qualche soldo in più con cui potere soddisfare le tante richieste. Il tesoretto è quindi una sopravvenienza realmente o falsamente inattesa, che consente impieghi privi di programmazione e pregni di improvvisazione. Ovvero la peggiore spesa pubblica, che spreca ricchezza.

Un Paese che è già largamente fuori da ogni margine di debito e deficit pubblici non può avere tesoretti, perché eventuali sorprese positive devono essere destinate a compensare le già gravi passività, non ad accrescerle. Sento già l’obiezione di chi Keynes lo cita e non lo ha mai manco annusato: senza fare spesa pubblica e deficit ci s’impoverisce. Obiezione respinta: di soldi per investimenti, presi a debito con un tasso di favore, ce ne sono anche troppi e il cimento consiste nel saperli spendere. Il tesoretto alimenterebbe soltanto ulteriori rivoli di benefici parziali e danni generali.

Quello di cui si parla, per giunta, discende da un inatteso maggior gettito fiscale, che fa segnare un +6,2% nei primi sette mesi dell’anno rispetto allo stesso periodo del 2023. Poco più di 19 miliardi. Sono soldi sottratti a investimenti e consumi privati, senza che si veda la ragione per cui lo Stato s’arroghi la capacità di sapere investire e consumare meglio. Anzi. Quindi fa bene il ministro dell’Economia a negare l’esistenza del tesoretto. Vedremo se riuscirà a preservare la ragionevolezza del bilancio o se la sua stessa maggioranza provvederà a demolire la diligenza di cui è auriga.

Guardiamo il cielo, prima di usare le stecche degli ombrelli per farci archi e frecce: la produzione industriale tedesca segna a luglio un arretramento del 2,4%, che si traduce in un arretramento tendenziale annuo del 5,3%. Che fossero in recessione si sapeva, ma queste sono cifre pulp. Problemi tedeschi? No, problemi anche nostri e problemi europei.

Dopo essere stata l’economia malata d’Europa, la Germania ne è divenuta la locomotiva. Ciò è stato frutto di buone e coraggiose riforme interne, ma soprattutto di una particolare condizione che ha favorito le potenze industriali ed esportatrici, cioè la Germania e noi: globalizzazione, nuovi mercati di sbocco, approvvigionamento di materie prime energetiche e semilavorati a basso costo. Quel mondo è finito con la criminale invasione dell’Ucraina. Non è finito per la Germania, è finito per tutti. E non di meno non significa che sia finito il mondo, semmai che ci si deve riadattare al cambiamento, come molte altre volte nel passato. Non dimenticando che nel periodo del più facile sviluppo la Germania è cresciuta molto e ha mantenuto una seria politica della spesa pubblica, il che le consente ora di avere margini per spese anticicliche. Mentre noi siamo cresciuti assai meno, perché accanto a un Paese che compete ed esporta ve n’è uno che giace e si rattrappisce, il cui letargo è favorito da spesa pubblica improduttiva che ha generato un debito mostruoso, talché oggi la sola spesa anticiclica possibile è quella finanziata dai fondi europei.

Con natura simile e condizioni assai diverse, abbiamo un comune interesse a convergere verso la fortificazione della competitività europea, tracciata dal lavoro fatto da Mario Draghi. Nessun europeo ha, da solo, la dimensione e la forza per farsi valere in un quadro in cui si spara per uccidere e si usa la forza economica per allargare l’egemonia territoriale. L’unità ci consente di fare quello cui la singolarità non può neanche aspirare.

Chi pensa di avere ancora tesoretti da spendacciare è fuori dalla realtà, sebbene possa approfittare di un Paese che da giorni vive nelle mutande inumidite di lacrime d’un ministro.

Davide Giacalone, La Ragione 7 settembre 2024

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