Economia

TimTim TocToc

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Non è mica normale, quel che sta succedendo. Normale sarebbe un intervento delle autorità che sorvegliano il corretto e regolare andamento del mercato borsistico (Consob). Normale sarebbe sospendere il titolo dalle contrattazioni. Per evitare che il torbido abbondante degeneri in pantano inquietante. Invece tutto tace, nel mentre volteggiano falchi, avvoltoi ed allocchi.

C’è una società quotata in Borsa, la Tim. L’azionista più consistente, i francesi di Vivendi, visto che le cose andavano male e i conti volgevano al brutto, chiedeva la sostituzione dell’amministratore delegato, il quale resisteva. Una mesata addietro, però, succedono due cose, contemporaneamente: la società, correttamente, avverte il mercato che non potrà rispettare gli obiettivi che aveva annunciato e che i conti sono peggiori di quanto precedentemente comunicato; mentre l’amministratore delegato dà le dimissioni e viene salutato con un lauto premio. Ma se le cose vanno male, se la società fallisce gli obiettivi, il premio a che si riferisce? In ogni caso, da allora ad oggi, la società resta senza amministratore. E già questo è inquietante, essendo quotata, raccogliendo quindi il risparmio di privati.

Ma è ancora niente. In coincidenza con l’annuncio di peggioramento e di dipartita dell’amministratore (con premio), un fondo statunitense (Kkr) annuncia che forse lancerà un’offerta pubblica di acquisto, ovvero chiederà di comprare tutte le azioni di Tim, per un valore di 10.7 miliardi, che incorporano un debito di 17.6 miliardi. Alla faccia. Più i leasing. Forse, però. Quando si lancia un’opa ci sono regole chiare da rispettare, di modo che ciascuno dei detentori delle azioni possa regolarsi e stabilire se gli conviene o meno aderire all’offerta: quanto per azione, in che tempi, con quale progetto. Invece nulla. Anzi no, peggio di nulla, perché si fanno girare voci secondo cui Kkr sta cercando alleati, provando ad imbarcare il Public Investment Fund presieduto dal principe ereditario saudita, Mohammed bin Salman. Sua maestà sa qualche cosa che il mercato non sa? Tale curiosità non è punto nutrita dalle parti della Consob?

Nella conferenza stampa di fine anno si chiede al presidente del Consiglio se il governo intende fare qualche cosa. Risponde che si occuperà di difendere l’occupazione, l’infrastruttura e la sicurezza. La prima cosa lascia il tempo che trova, la seconda e la terza sono piuttosto rilevanti, tenuto anche presente che fra i soci c’è anche la Cassa depositi e prestiti, quindi lo Stato stesso. Draghi dice anche: “c’è un’opa che sarà annunciata”. Quando? da chi? a che condizioni? lo sa perché lo ha letto sui giornali o perché i soci che vendono e comprano le azioni Tim sanno qualche cosa che il mercato non sa?

Intanto succedono altre due cose: a. la società che si presume sarà comprata si dota di consulenti per valutare la situazione, quindi ritiene esistere l’opa che non c’è; b. la società che si presume voglia comprare sembrerebbe mettere in vendita la propria partecipazione di FiberCop, operatore concorrente con Tim. Forse scala, forse vende, forse è troppo.

Il tutto nel mentre le contrattazioni continuano, nell’opacità più totale, sicché qualche lesto ben informato farà i soldi e qualche minchione che crede d’essere ben informato li perderà. Il che non avviene nell’ombra, ma in pieno giorno ed in piazza, con la Consob che celebra l’inizio dell’anno occupandosi dell’inflazione e dei prezzi al consumo, che non risultano essere fra le cose di sua competenza. Una simile, monumentale, asimmetria informativa, invece, non la turba.

Noi dinosauri abbiamo ancora memoria di quando, nel corso della prima e pessima opa su Telecom Italia, che distrusse un gioiello, i dichiarati acquirenti furono beccati a vendere azioni per farne scendere il prezzo, dato che aveva superato quello da loro fissato. Allora dissero che trattavasi solo di una svista e la Consob, di allora, lasciò correre. Non so se sia quella società specifica ad annoiarli e spingerli al sonno, so che questa scena non si può vedere.

Davide Giacalone

Pubblicato da La Ragione del 13 gennaio 2020

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