Ci sono frasi fatte che fanno imbestialire, come questa: il turismo è il petrolio d’Italia. C’è del vero. Dovrebbe essere vero. Diciamo che se è vera vuol dire che estraendolo se ne perde troppo e qualcuno lo inquina. Peggio: qualcuno ce lo ciuccia via. Riusciamo in un miracolo: consentire a chi in Italia non mette mai piede di trarre ricchezza dal turismo che ci visita. Vediamo perché e anche come rimediare. Ora, subito. Non in un indeterminato futuro.
Cercare di governare un settore senza conoscerlo è piuttosto difficile. Conoscerlo senza avere dati affidabili è impossibile. Come se un medico curasse il paziente sulla base di analisi cliniche fatte a casaccio. Prendo in mano il “piano strategico” (boom!) per il turismo, presentato lo scorso gennaio, e leggo, a pagina 5, che l’incidenza economica del settore è pari al 9% del prodotto interno lordo. A pagina 11 diventa l’8,6. Magari, ecco, se si leggessero e coordinassero non sarebbe poi male. In ogni caso i conti non tornano, perché l’incidenza sarebbe del 14,9 in Spagna e del 9,3 in Francia. L’assorbimento di lavoratori sarebbe del 12,7% in Spagna, del 10,4 in Francia e del 9,7 in Italia. Ne deduco che o stanno misurando cose diverse, o usano metri diversi. Sono dati non omogenei. Il settore turistico, da noi, ha un consistente strato di nero.
In parte è evasione fiscale, in parte è incapacità di vedere e conteggiare. Esempio: ogni stagione si sente che gli alberghi lamentano un calo delle presenze, ma nel calcolo non sono compresi gli agroturismi, che non dipendono dall’omonimo ministero, ma da quello dell’agricoltura. In pratica: se diminuiscono le persone in albergo e aumentano quelle in aziende agricole le due cose potrebbero compensarsi, ma nessuno lo sa perché i secondi non vengono compresi in quel conto. Sono, inoltre, molto cresciuti i B&B (Bed&Breakfast), ma un discreto numero di questi, specie nelle grandi città, sono noti alle reti che li vendono, ma non registrati come tali. A questo aggiungete che altrove misurano l’“impatto totale”, quindi diretto e indiretto del turismo, mentre noi ci limitiamo a contare le presenze. Ne traete la conclusione che le dimensioni sono sottostimate. Pur considerando ciò, il settore potrebbe non solo crescere, ma essere maggiormente remunerativo. Passiamo alle proposte.
L’Italia è internettianamente un caos. Se provate a sapere quanti e dove sono i musei, come anche le spiagge, i ristoranti e gli alberghi, non ci riuscite in italiano, figuriamoci in cinese o arabo. Ci sono regioni che pagano la pubblicità all’estero senza neanche dire che si trovano in Italia, come se fosse scontato. E non lo è, visto che, in Cina, la seconda città italiana per fama è Barcellona, che si trova in Spagna, nella regione catalana. Primo provvedimento, quindi, costringere (dicasi “costringere”, non facoltativo) tutti i siti museali e archeologici a registrare le proprie caratteristiche, contenuti e allocazione in un unico portale nazionale. Multilingue. Poi costringere chiunque abbia una licenza alberghiera a fare altrettanto. In due mesi facciamo l’unità della ciber-Italia.
Da qui poi si passa ai soldi. Il governo avrebbe fatto la propria parte, ora tocca ai privati stabilire se vogliono rassegnarsi a perdere sangue nelle prenotazioni. Il booking on line è fatto, oggi, in modo tale che il cittadino paga le tasse per mantenere aperto il museo (che dovrebbe guadagnare); l’albergatore paga i costi e regge il rischio d’impresa; e una società che non paga un accidente e non rischia nulla incassa all’estero la percentuale sulle prenotazioni. Non solo, ma dato che Google consente di mettere a confronto le tariffe, più loro guadagnano e più gli albergatori stanno all’osso. Che nasca un soggetto italiano. Se non siamo tutti scemi ce la possiamo fare, visto che abbiamo la più ricca offerta culturale e paesaggistica del mondo. Non si tratta di fregare i turisti, ma di riprendersi provvigioni che vanno dal 15 al 25%, consentendoci di guadagnare di più facendo sconti più alti. Si può fare in pochi mesi.
Sembrano cose piccole, ma hanno valore enorme. Massimo Bray, ministro per cultura e turismo, sembra condividere l’approccio, difatti ha cancellato l’obbrobrio per cui i bambini comunitari accompagnati non pagano nei musei, mentre quelli americani o australiani sì. Buon segnale, purché aumentino i genitori e tengano aperti i musei anche quando i bimbi vanno a nanna. Per carità, molte altre cose possono e devono essere fatte, necessitando più tempo. Ma queste possiamo farle subito. Quest’oggi. L’economia digitale può mettere combustibile nucleare nel motore dell’industria turistica. Se solo convocassimo riunioni operative al posto dei convegni e gente del mestiere al posto del presunti professori.
Pubblicato da Libero