Economia

Umore scuro

Umore scuro

Quando i candidati avranno finito di raccontar bubbole per assicurarsi un presente elettorale, sui giornali riprenderà spazio la realtà del mercato europeo e il futuro dell’euro. Sono quasi due anni che continuiamo a ripetere: i difetti strutturali della moneta unica sono pericolosi, così non regge, mentre i rimedi fin qui approntati sono solo dei sintomatici. Parliamo al muro, perché politici e giornalisti credono (che il cielo li perdoni) che abbia un senso dividersi in pro e contro l’euro. Oppure si registrano casi di trasformismo ridoliniano: ho sentito Mario Monti dire che il governo tedesco ha sbagliato, circa la gestione della crisi greca, che è stato troppo attento alla propria opinione pubblica interna, che diverse sono le ricette per affrontare il problema dei debiti sovrani. Ben arrivato, spero abbia dormito bene. Peccato che al suo debutto politico si presentò dicendo: sono il più tedesco degli economisti italiani. Peccato sia stato applaudito (da sciocchi adulatori) perché aveva ripreso posto accanto a Merkel e Sarkozy, ovvero i colpevoli del più grosso danno arrecato all’Europa, dopo la seconda guerra mondiale.

Ieri è stato pubblicato l’indice Pmi di febbraio. Si riferisce a quel che prevedono i responsabili degli acquisti nelle imprese (Purchasing Managers Index, elaborato da Markit). Il sentimento diffuso, in Europa, è negativo. Sotto il livello 50 vuol dire che si prevede recessione, e ieri s’è fermato a 47,3. Arretrando rispetto al mese precedente, gennaio, quando era al 48,6. La Germania è messa meglio degli altri, ma nel settore manifatturiero totalizza 50,1 (era 49,8), mentre nei servizi raggiunge il 54,1 (arretrando, però, perché era al 55,7). La Francia scivola brutalmente, con un indice che si arresta al 43,6 nel manifatturiero e al 42,7 nei servizi. Le imprese europee vedono nero. Vedono più nero dello già scuro scenario dipinto dal presidente della Banca centrale europea al Parlamento europeo. Aveva detto Mario Draghi: la ripresa è debolissima, troppo lenta, mentre i mercati europei sono afflitti da eccessiva pressione fiscale. Noi abbiamo la più alta, e se riusciamo a resistere nelle esportazioni lo dobbiamo a imprenditori, lavoratori e tecnologie che puntualmente dimentichiamo quando si deve parlare di sviluppo, umiliamo quando si parla di rappresentanza istituzionale e strangoliamo quando si parla di tasse.

Alla Federal Reserve, banca centrale statunitense, s’è aperto un dibattito circa l’ulteriore copertura da offrire ai titoli del debito pubblico, ma avendo alle spalle un’imponente aumento della liquidità, che ha sostenuto l’economia reale e mantenuto attiva la produzione. Bank of England continua a stampare moneta, mentre la possibilità di agire sul cambio tiene bassi i tassi d’interesse sul debito pubblico, pur trovandosi con debiti e deficit decisamente peggiori dei nostri. La Bce ha fatto cose opportune, trascinata da Draghi, ma più a parole che con i fatti, più con l’uso della tecnica per sfuggire alle debolezze istituzionali che in base a scelte politiche. Insomma, il principale problema europeo, che si riflette nella sfiducia manifestata dai protagonisti del nostro mercato, è di tipo istituzionale: la più ricca area economica del mondo è acefala.

Alla mancanza di cervello s’è aggiunta, fin dall’estate del 2011, una nefanda convergenza fra tedeschi e francesi. Capiamoci: l’asse fra Francia e Germania è quello portante dell’Unione, ma quel che ha preso corpo nel corso della crisi è del tutto diverso: i tedeschi badano ai loro interessi e i francesi s’accodano perché senza quella copertura saltano in aria, con le loro banche che fanno da detonatore. Contro questo inaccettabile connubio, d’impronta brutalmente antieuropea, gli europeisti si sarebbero dovuti battere. Perché è quella la strada che fa saltare l’euro, mentre l’Unione non sopravviverebbe. Invece c’è toccato subire mesi di lezioncine impartite da chi neanche è in grado di capire la posta in gioco.

Ora votiamo. Togliamoci il dente. Ma la mattina dovrà esserci consapevolezza che gli interessi nazionali sono indisponibili e comuni, talché il restaurarsi della collegialità europea e la federalizzazione del problema legato al debito (naturalmente senza nulla omettere contro le politiche di spesa inutile e suicida) devono essere considerate scelte condivise. Oppure ci declassiamo a protettorato di una classe politica tedesca che non solo non eleggiamo, ma sta anche sbagliando tutto, come gli indici di ieri, l’andamento delle borse e il perdurante divaricarsi degli spread segnalano.

Pubblicato da Libero

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