Economia

Un anno perso

Un anno perso

Fra poche settimane la crisi dei debiti sovrani europei, che descrivemmo subito come crisi strutturale dell’euro, compirà un anno. Un anno perso. I 1000 miliardi della Banca centrale europea hanno avuto un effetto sintomatico, passato il quale si torna dove eravamo. Chi, oggi, dicesse che il risalire degli spread è colpa del governo Monti sarebbe un volgare imbroglione. Lo era anche chi lo sosteneva l’estate scorsa, addossando al governo italiano responsabilità che erano europee. Allora si gridò alla necessità di fare in fretta, dopo un anno si mormora senza avere il coraggio di riconoscere che noi azzeccammo la diagnosi, sostenendo che solo quella europea era la sede per risolvere il problema, mentre chi ci diede lezioni prese fischi per fiaschi, o, peggio, fece finta di non capire.

L’asse Merkel-Sarkozy si mosse per tutelare le banche francesi e tedesche, impoverendo gli europei e trasformando l’Unione monetaria in un vincolo capace di bruciare ricchezza. Andava fermato, invece si scelse di assecondarlo e asservirglisi. Il risultato è deprimente: pressione fiscale intollerabile, sistema produttivo allo stremo, debito pubblico sempre più pesante rispetto al prodotto interno (dato che il secondo scema). Un esempio da manuale di quanti errori si possano commettere agendo in base ad un pregiudizio, senza essere dotati di sufficiente cultura e prestigio politico. Sostenendo che la crisi dell’eurozona era riassorbita s’è commesso un terribile errore di valutazione. Affermando che quel successo è dovuto alle riforme italiane ci s’è addossati colpe che non erano nostre. Solo l’insipienza di partiti politici in stato confusionale consente al governo di non fare i conti con tali responsabilità.

La sconfitta europea si misura nell’attesa del risultato delle presidenziali francesi, nella speranza che sia un elettorato nazionale, sfiduciato e incattivito (il fatto che la maggioranza relativa dei giovani manifesti consensi per Le Pen la dice lunga), a far saltare il banco. L’Europa che sognammo non è questa, e neanche le somiglia. La crisi poteva essere l’occasione per una maggiore integrazione e consolidamento istituzionale, invece ha fatto annegare ciascuno nei propri egoismi e miopie nazionali. Noi compresi, che ci tirammo gli spread nella schiena, come coltellate, felici di vendette miserabili.

I greci sono tenuti in bancarotta, ma senza volerla chiamare con il suo nome. Gli spagnoli dismettono il welfare sanitario, ma non in una logica di riforma europea, come si dovrebbe, bensì in un inutile sforzo contabile. Gli italiani si stanno dissanguando pagando tasse che assecondano l’inutilissimo tentativo di mostrarsi diligenti nei confronti di una dottrina anti europea. Mentre i tedeschi finanziano i loro debiti senza pagare e alimentano la loro bilancia commerciale senza curarsi delle conseguenze. Aggiungete gli inglesi che si sono sganciati dal nuovo trattato, metteteci gli irlandesi che lo bocceranno e avrete chiaro il quadro di un’Unione che s’avvia a scomparire per insufficienza mentale e storica della classe dirigente europea. Un continente ricchissimo, pregno di valore tecnologico, che potrebbe e dovrebbe giocare un ruolo nel mondo e che, invece, si flagella con moralismi bilancistici, destinati a scatenare la reazione popolare.

Noi italiani abbiamo, in più, un debito pubblico esagerato, che dovremmo cercare di abbattere e che, invece, c’incaponiamo a mantenere ciucciando via soldi a chi potrebbe produrre e consumare, per destinarli al rogo. La logica dell’allineamento ai dettami tedeschi non era sana, ma almeno avrebbe avuto un senso se avesse prodotto riforme a lunga gittata. Invece abbiamo fatto quella delle pensioni e lì ci siamo fermati, lasciando il resto in balia della logorrea impotente e supponente. Il dolore senza risultati alimenterà la rabbia, che metteremo sul conto di chi credette che quello italiano fosse un problema di stile, anziché di sostanza. C’era anche un problema estetico, certamente, ma occorre essere ottusi assai per considerarlo prevalente.

La ricetta diversa c’è, l’abbiamo ripetuta e ci torneremo (tagliare sia il debito che le tasse, riformando il welfare e privatizzando). Un anno dopo, però, è urgente che s’esca dall’ipocrisia che da un anno ci ammorba: il problema non sono i conti italiani, o i trucchi greci, ma l’euro, e la soluzione consiste nel portare sovranità politica nella sua gestione, non nel cedere sovranità nazionale alla Bundesbank. Da un anno si va nella direzione sbagliata. Il tempo perso è costato a noi e all’Unione. Che altri ci abbiano guadagnato è un motivo in più per cambiare terapia.

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