Vi racconto una storia che credete di conoscere, e che invece non conoscete.
C’era una volta un imprenditore, che lavorava su prodotti all’avanguardia, impegnato nel vasto mercato della modernità e della comunicazione.
Benché soddisfatto del proprio lavoro, questo imprenditore si sentiva roso dal bisogno di fare qualche cosa più in grande. Da sempre appassionato di questioni politiche, cominciò a seguire la politica con assiduità ed impegno.
Le male lingue, ne sono certo, diranno che decise di scendere in campo, di dedicarsi all’attività politica, per meglio difendere i propri interessi. Le cose non stanno così, ma certo gli è che decise di entrare direttamente e personalmente nella battaglia politica.
Fino a quel giorno il suo solo orizzonte di lavoro era stata l’azienda e, così, dovendo dare vita da una creatura politica, anche se non esattamente ad un partito politico (dacché non gli piaceva nessuno di quelli esistenti), finì con il coinvolgere le persone che gli erano vicine. Capitò, quindi, che i dirigenti dell’azienda, i quadri migliori, i dipendenti che lo avessero voluto, si ritrovarono catapultati, nel volgere di pochissimo tempo, dalla fabbrica alla politica. Le solite male lingue parleranno di “partito-azienda”, così come di “conflitto di interessi”. Ma lui vedeva le cose in maniera radicalmente diversa : non solo non coglieva la contraddizione, non solo non vedeva i problemi, ma, anzi, all’opposto, era orgoglioso di avere portato in politica i valori di produttività, impegno, competenza e serietà che sentiva tipici del mondo aziendale. Insomma, lungi dal vergognarsi, era assolutamente felice del suo operato e si sentiva investito di una missione storica.
Vi è un ultimo punto, di cui si deve tenere conto. Quell’imprenditore era proprietario di mezzi d’informazione. Già sento le male lingue che si mobilitano, ma lui vedeva le cose, al solito, diversamente : ma certo che ho mezzi d’informazione, ed a che diamine servono se non ad informare, e come mai si potrebbe fare politica senza avere dei sistemi con cui comunicare ai cittadini le proprie idee? Si presentò, quindi, alle elezioni politiche, con un proprio simbolo e propri candidati.
Questa, cari lettori, non è una favola, ma una storia vera, si tratta di cose realmente accadute. E, vi dirò, secondo me quell’imprenditore aveva ragione. Ma certo, penseranno alcuni di voi, un po’ maligni, tanto non sai dare torto a Silvio Berlusconi. Ma no, guardate che c’è un equivoco, non sto parlando di Berlusconi, ma di Adriano Olivetti. Quella che ho riassunto in poche parole è la storia di Adriano Olivetti e del suo settimanale : “L’Espresso”. Berlusconi, all’epoca, cantava e studiava.
Il bello è che il mondo delle anime belle, quello di chi è convinto che i libri si mostrino e non si leggano, il mondaccio dei salottini ove le damazze sono di sinistra, ricorda, sia pure vagamente, qualche cosa di Adriano Olivetti e del suo movimento Comunità (“si, io lo so -urla scomposto da dietro il divano un signore in giacca di velluto- sono le Edizioni di Comunità”, e si guarda in giro compiaciuto. Bravo, fuochino). Ed i pochi e confusi ricordi che affiorano, sono ricordi positivi. Che Olivetti prese solo 173.257 voti, costati all’incirca 100.000 lire l’uno, che nel 1958 era una bella cifretta, naturalmente, non se lo ricorda nessuno. Ma quel che si ricorda è che quell’uomo ebbe il coraggio di una scelta chiara, fatta in prima persona, e che dal suo movimento culturale arrivano molti dei personaggi che ancora calcano le scene (eletti ne ebbero solo uno, Olivetti stesso, che, però, si stufò presto, lasciando il posto a Franco Ferrarotti, e dite al signore in giacca di velluto di non agitarsi, che Ferrarotti lo conoscono tutti).
Allora, ho ragione o no a dire che questa storia credevate di conoscerla, ma non la conoscevate? Vi prego, adesso, non raccontatela in giro. Potreste essere fraintesi.