Non c’è modo di schiodare il concetto di bonus dal linguaggio della politica. Da chiunque praticati – cioè tutti – i bonus esistono solo come propaganda, elettoralismo e inganno circa il loro costo e relativi pagatori. Ora è di turno il tema del lavoro, accoppiando le urne al calendario delle festività.
Quest’oggi il Consiglio dei ministri dovrebbe varare il bonus tredicesima, che la settimana scorsa è slittato per mancanza di coperture. Se la scelta sarà di darlo soltanto su base familiare, solo se monoreddito e con almeno un figlio a carico, significherà che lo sforzo di restringere la platea (per mancanza di soldi) snatura la già non buona idea e ne fa un falso strumento di sostegno, che esiste una sola volta. Restando tutti gli altri difetti di cui abbiamo già scritto. Intanto si fa salire la tassazione dei premi di produzione dal 5 al 10%, da una parte punendo una dinamica di produttività e dall’altra ricordando agli immemori che c’è sempre qualcuno che paga.
Sempre oggi dovrebbe essere varato il bonus 120% e 130%, ovvero uno sgravio fiscale di quella portata, a seconda della tipologia di lavoratori che si assumono e in una corsa al rilancio delle percentuali che incenerisce il 110% di cui ancora s’è detto tutto il male possibile. Sono naturalmente questioni diverse, ma quello sgravio – che durerebbe solo due anni – oltre a richiedere sempre che qualcun altro paghi, non solo non risolve ma neanche affronta il problema del lavoro. Si limita a festeggiarlo, in armonia con il 1° maggio.
L’occupazione in Italia cresce considerevolmente dal primo trimestre del 2021, ma resta la più bassa (in percentuale sulla popolazione attiva, il 61%) dell’Unione europea. Due cose avrebbero dovuto indirizzare l’attività di governo: a. il crescere dell’occupazione non ha generato crescita in proporzione; b. al sistema produttivo mancano lavoratori, in particolare quelli qualificati. Varare uno sgravio per le assunzioni non affronta nessuna delle due. La prima dice che si è creato lavoro povero nella capacità di generare valore aggiunto, oltre che nella paga. La seconda che serve formazione. Se vuoi far crescere la ricchezza e l’occupazione servono quindi riforme serie, non bonus di consolazione.
Esempio: in uno scambio suggestivo, il professor Galli Della Loggia accusa le università telematiche d’essere dei diplomifici senza sostanza e il professor Violante (che presiede un’associazione delle telematiche) replica che si deve distinguere. Scrive Violante: «Le università telematiche non sono tutte uguali, come non sono tutte uguali le università tradizionali». Vero, bravo, bene, bis. Ma si pretende che roba diversa rilasci titoli con identico valore. Insensato. La riforma che cancelli il valore legale del titolo di studio e scateni la concorrenza fra università sarà a tutto vantaggio dei giovani che vogliano qualificarsi, mentre chi butterà i soldi per avere un pezzo di carta potrà farlo senza che il contribuente debba aumentargli lo stipendio. Questa è una riforma che spinge a correre, creare lavoro più ricco, premiare il merito e la capacità. Niente, non si muove una foglia.
Altro esempio: a Formentera (Spagna) hanno messo a gara la concessione per le spiagge, rispettato la normativa europea e chiamato investimenti e nuova occupazione. In Italia la notizia è stata pubblicata piagnucolando sui chiringuitos in demolizione, perché questo è il Paese della conservazione delle baracche, mentre lì avviano la costruzione di chioschi e stabilimenti nuovi. Prenderanno nuovi flussi turistici, mentre qui festeggeremo il cesso degli anni Cinquanta e l’ennesima estate a parlarne in modo inconcludente.
Non c’è bonus al mondo che possa rimediare alla stagnazione mentale e culturale, che diventa zavorra per la crescita della ricchezza. In compenso può far vestire al governante di turno – dal mitico premio a chi non è morto prima del compimento del diciottesimo anno al premio per le tredicesime in barba a chi non becca neanche la dodicesima – i panni del generoso. Che dona soldi degli altri.
Davide Giacalone, La Ragione 30 aprile 2024