Giustizia

41 bis

41 bis

A prima vista, ma anche alla seconda e alla terza, le 641 pagine di motivazioni della sentenza d’appello, che condanna Marcello Dell’Utri a sette anni di carcere per aver fatto da mediatore fra la mafia e Silvio Berlusconi, non aggiungono molto a quanto era già stato scritto e argomentato. Per quel che riguarda la faccenda penale i termini sono chiari: l’imputato presenterà ricorso in cassazione, sicché sarà quella Corte, in via definitiva, a stabilire se si tratta di un colpevole o di un innocente. Ma nel tempo che intercorre fra la lettura della sentenza (29 giugno scorso) ed oggi è la realtà ad avere aggiunto qualche cosa.

L’ipotesi accusatoria è che Dell’Utri abbia sempre fatto quel mestiere, da ufficiale di collegamento. La Corte d’appello la vide diversamente: è vero fino agli anni ottanta, quindi quando l’attività era meramente economica, non è vero, o, almeno, non è dimostrato, nel periodo successivo, quando l’attività divenne politica. Per sostenere questa seconda tesi la procura aveva immolato un pentito importante, Gaspare Spatuzza, che si era dimostrato credibile per le rivelazioni sulla morte di Paolo Borsellino (smontando sentenze già definitive), ma che fu ridicolizzato per le successive dichiarazioni. A parte ogni altra considerazione, la tesi della procura è più logica: difficile credere che si sia mafiosi part time, o fino ad una certa data. Il tema della logicità passa alla cassazione.

Ma ora noi sappiamo quello che allora non sapevamo: effettivamente un governo della Repubblica, anzi due, avevano revocato misure di carcere duro, per i mafiosi, che era una delle richieste del famoso “papello” (per il resto delirante), ma si tratta del governo Ciampi (1993) e prima ancora di quello Amato. Il ministro della giustizia che dispose il secondo provvedimento, Giovanni Conso, ha sostenuto di averlo fatto per evitare altre stragi, segno che aveva la percezione di un nesso fra il trattamento carcerario riservato ai mafiosi e la strategia sanguinaria delle cosche. La faccenda è tutt’altro che chiara, ma le date dei provvedimenti inequivocabili. Ciò conferma quel che scrissi, in via intuitiva: se quella trattativa ci fu ebbe altri protagonisti. In ogni caso non potevano essere Berlusconi e Dell’Utri, che in quel momento non avevano la benché minima influenza sulle scelte del governo.

Va ricordato, però, che subito dopo il carcere duro, il 41 bis, fu ripristinato. Anzi, i boss che avrebbero contrattato con Dell’Utri (“ci siamo messi l’Italia in mano”, secondo la spacconesca ricostruzione di Spatuzza), ovvero i Graviano, ci si trovano ancora. Quindi, se proprio si vuole utilizzare questo genere di scansione temporale (che considero radicalmente errata), va osservato che prima della vittoria elettorale di Forza Italia il 41 bis viene disapplicato, e dopo fatto valere. Ed è vergognoso che io sia costretto a scrivere in questi termini, considerandoli sbagliati, ma è il frutto di un decennio nel corso del quale s’è voluto sostenere l’esatto contrario (non meno sbagliato).

Noi, quindi, abbiamo più elementi di quelli utilizzati dai giudici dell’appello, ma nello scrivere i commenti queste tessere sono scomparse dal mosaico dei giornali. Si è preferito ripetere pari pari quel che si scrisse a giugno, piuttosto che far funzionare le meningi e mettere nel conto le parole di Conso. Come se la faziosità politica sia più importante del contrasto alla mafia e della verità storica. Uno spettacolo miserrimo.

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