Giustizia

5 Sì e 6 Ma

referendum giustizia(2)

L’accordo è tutto lì, in una parola, un concetto, una via di fuga: quorum. C’è chi dirà di battersi per il Sì, chi per il No, chi un misto, ma la concordia si ritrova nell’approdo sperato: quorum. Nel senso che si spera non ci sia. Il fronte del No, contrario alle abrogazioni referendarie, spera nella mancanza del quorum perché sa in partenza che i Sì saranno la grande maggioranza, quindi meglio che rimangano la maggioranza di una minoranza, con effetti nulli. Il fronte del Sì, favorevole alle abrogazioni, sa di essere in vantaggio, anche sfruttando l’eccellente lavoro fatto dalla magistratura sindacalizzata e politicizzata nel demolire sé stessa, ma confida che il quorum non ci sia, che si possa dire d’avere vinto senza per questo avere un risultato, e lo spera perché altrimenti si scoprirà che quei referendum sono inutili.

Ha ragione il professor Sabino Cassese, quando sostiene che i referendum non sono il modo migliore per riformare la giustizia, ma possono “diventare uno strumento di sollecitazione di un Parlamento che non riesce a decidere”. Vero, ma ragione di più perché i partitanti sperino nel non quorum, altrimenti sarebbe evidente che dopo la sollecitazione non ci sarà l’azione, dopo l’indicazione mancherà la conclusione, tanto più che manca anche il tempo, che qui si considera vigilia elettorale l’attesa di dodici mesi. A scuola devono aver considerato la campanella d’ingresso quale vigilia della ricreazione.

Noi abbiamo l’interesse opposto: far emergere quanto descritto. Sicché speriamo che il quorum ci sia. Tanto più che la politica tutta chiacchiere indistinte nuoce seriamente alla salute della democrazia. Andrò a votare e metterò la croce su 5 Sì. Avendo in animo 6 Ma.

  1. La legge Severino, che prevede la sospensione dagli incarichi amministrativi già al ricorrere di una condanna in primo grado, non è severa o punitiva, ma un obbrobrio. La Costituzione e un paio di imprescindibili Convenzioni internazionali prevedono la presunzione d’innocenza, che la Severino sbeffeggia. Il compito dello Stato è offrire giustizia in tempi ragionevoli, non rimediare ai tempi incivili con non meno incivili anticipazioni di pena. C’è un Ma: questa roba è stata votata da vastissima maggioranza parlamentare, compresi quelli che ora si dicono favorevoli all’abrogazione, recitando troppe parti in commedia, e molte altre misure restano in vigore, prefigurando l’esecuzione anticipata di sentenze inesistenti.
  2. Il secondo quesito riguarda la custodia cautelare, volendone limitare gli abusi. Giustissimo. Però quanto previsto dal codice di procedura penale era già chiaro e già ostativo d’abusi (che non sono gli errori, limitabili e non cancellabili). Il guaio è che con le norme ci fai un bel niente se chi è chiamato ad applicarle e a giudicarne le applicazioni si rivolge al tribunale dei media e totalizza applausi. Ci sono stati innumerevoli abusi perché la più diffusa cultura popolare, dell’informazione e in procura è indirizzata non al diritto, ma al colpevolismo. E se il responsabile dell’abuso non paga, anzi, se manco l’abuso s’accerta, proibendo di arrestare per una cosa arresteranno per l’altra e cambierà nulla.
  3. Il terzo riguarda la separazione delle carriere fra chi accusa e chi giudica. Roba talmente ovvia da esserci in tutto il mondo civilizzato. Da noi si procede a incesti. Abroghiamo. Ma, a parte che l’incesto resterebbe, limitato a una sola copula, non si va da nessuna parte senza cambiare reclutamento e gerarchia, senza evitare che gli uni eleggano gli altri. L’orgia familiare continuerebbe, violando anche l’altra sorella: l’informazione. Altra carriera da separare.
  4. Il quarto quesito è relativo alla valutazione dei magistrati, che hanno tassi di promozione in grado di umiliare i maturandi e sfioranti la totalità. Tagliando le norme si otterrebbero valutazioni non più fatte da magistrati per magistrati, ma anche da avvocati. Va bene. Ma ci sono metodi più efficaci: il risultato. Solo a sentirne parlare svengono, convinti di svolgere una funzione celebrativa immune da valutazione d’efficienza, invece alla collettività serve quella.
  5. Per arginare le correnti si abroga la raccolta delle firme necessarie a candidarsi al Csm. E sia, ma così si moltiplicano anche gli spifferi. Le correnti sono anche un costume, un modo d’essere. Se troppi magistrati non comprendono l’orrore della spartitocrazia non è che si possa limitarli più di tanto, semmai suggerire che hanno sbagliato mestiere.
  6. I quesiti sono 5, ma ho ancora un Ma: i referendum li convocano i comitati dei cittadini, per opporsi a decisioni parlamentari, qui, invece, sono i partiti che li convocano, in qualche caso per opporsi a quel che votarono. Un vero batti-quorum.

Davide Giacalone, La Ragione 27 maggio 2022

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