Giustizia

Adozioni gay

Adozioni gay

La legge italiana non prevede la possibilità che una coppia omosessuale adotti un bambino. Si può essere concordi e discordi, ma è un fatto. Il tribunale dei minori di Roma ha applicato la legge e consentito l’adozione a una coppia gay. Almeno così molti daranno e leggeranno questa notizia. Non è proprio esatto, la contraddizione è indotta dal caso specifico. Quel che ne risulta è quel che la legge non prevede. Ci arriviamo subito, intanto la prima patologia che salta agli occhi è proprio questa: l’essersi abituati a considerare normale che le novità legislative vengano dalle sentenze, laddove dovrebbero essere le sentenze a seguire la legislazione, dandole esecuzione.

Si è potuto conciliare il rispetto della legge con il suo superamento, proprio a causa della particolarità di questo caso. Una coppia di donne omosessuali. Una di loro ha avviato e condotto a termine una gravidanza, grazie alla fecondazione eterologa. Il tribunale, quindi, si è trovato difronte: a. una madre senza che nessun padre rivendichi d’essere l’altro genitore; b. non una bambina da dare in adozione (cosa che escluderebbe la coppia omosessuale), ma una bambina che vive con la madre e che una seconda persona, convivente con la madre, chiede di adottare, naturalmente assieme alla madre biologica; c. cosa che il tribunale ha ritenuto possibile (applicando l’articolo 44 della legge 184, del 1983) proprio per il criterio di salvaguardia del minore e della continuità dei suoi legami affettivi e della sua stabilità familiare. Più continuità di così: la bambina già viveva, dalla nascita, con le due donne. Nel caso specifico, quindi, la decisione ha senso e può vantare coerenza con il dettato legislativo. Solo che, pur in questa condizione, finisce con il consentire quel che non è consentito. Quando capitano cose di questo tipo è segno che il buco sta nelle leggi.

Applicando in quel modo la legge, quindi, al contrario di quel che molti vanno dicendo e altrettanti capendo, il medesimo tribunale non avrebbe concesso l’adozione a una coppia omosessuale, non avrebbe consentito il nascere di una situazione prima inesistente. Ma qui ha dovuto prendere atto di quel che già c’era. E, formalmente, non ha neanche concesso l’adozione da parte di una coppia gay, ma da parte di una singola persona, che si aggiunge alla madre e che già faceva parte della famiglia di fatto. Solo che i due soggetti sono dello stesso sesso.

Eppure il fraintendimento pubblico (non del tribunale) è a sua volta la dimostrazione che in un sistema di diritto non consuetudinario, ma basato sull’applicazione delle leggi scritte, nel quale il giudice dovrebbe essere bocca della legge, può capitare che o la legge sia confusa, o il legislatore sia in netto ritardo rispetto alla realtà, in ogni caso possa il giudice essere bocca e, al tempo stesso, voce cantante. E non solo capita, ma capita talmente spesso che si finisce con il supporre che sia normale. Mentre non lo è affatto. Capita anche che ci sia una politica, del tutto ignara di quale dovrebbe essere la propria funzione, che una volta letta (male) la sentenza afferma che è giunta l’ora di adeguare la legge a quella. Mi riferisco a Ivan Scalfarotto, presidente del Partito democratico, che è così riuscito a inanellare un’invidiabile serie di errori concettuali. Se sono le leggi a doversi adeguare alle sentenze, allora si può ben andare oltre la cancellazione dei senatori (senza cancellare il Senato), potendosi chiudere il Parlamento.

La sentenza romana, comunque, rafforza una tesi che qui abbiamo già sostenuto: la Corte costituzionale ha preso una gran cantonata, nel sostenere che la fecondazione eterologa si può praticarla da subito, non esistendo alcun vuoto normativo. Eccone un esempio. E il sottolinearlo non significa sostenere che il tribunale abbia sbagliato (dacché mi sembra il contrario), ma che si è trovato ad agire su una questione semplicemente inesistente nel 1983. Questi vuoti, direi queste voragini, saranno comunque colmate nella vita reale. Solo che le possibilità sono due: o le colma il Parlamento, legiferando e affrontanto questioni delicate e scomode, che inevitabilmente dividono l’opinione pubblica; oppure le colmano le sentenze, visto che rivolgendosi a un giudice, per una questione come questa, non ci si espone ad alcun rischio: nel peggiore dei casi resti come sei, nel migliore ti danno ragione e vinci.

Il bello di un tema come l’eterologa (di cui la sentenza d’adozione è solo una conseguenza) è che impone di pensare. Ci sono quelli che se la sbrigano perché fa tanto “libertà & progresso” e quelli che se ne spicciano perché fa tanto “incubo & peccato”. Sono i gemelli del non pensiero. Tutti gli altri si trovano a fare i conti con pro e contro. A me, da laico, pare che i contro siano insuperabili. Ma, appunto, questo è il bello del dibattito. Se lo si facesse con una politica pensante. Latitando la quale si procede per sentenze. Magari prese e glorificate senza neanche avere avuto cura di leggerle.

Pubblicato da Libero

Condividi questo articolo