Giustizia

Alligatori e caimani

Alligatori e caimani

Massimo Carlotto ha un grande merito, quello di avere costruito delle storie che, forse, saranno le uniche a conservare e far conservare memoria di cosa realmente sia, in questi nostri anni, la giustizia amministrata dai tribunali. Storie raccontate con un ritmo avvincente e trascinante, con tutti gli ingredienti del giallo (o del noir, come pare si definisca questo genere), ma che non smarriscono mai il motivo che spinse l’autore a scriverle.

Carlotto ha un passato da raccontare e memoria sufficiente per farlo. Difatti lo ha fatto. Ma ha anche capito che non sarebbe bastato, così ha preso un alter ego, gli ha messo sulle spalle un pezzo della propria biografia, lo ha chiamato Marco Buratti, lo ha soprannominato l’Alligatore e lo ha buttato nel terreno di confine fra malavita ed ingiustizia. Sembra un romanzo, ma Buratti è il nostro inviato nella realtà.

“Il corriere colombiano” (edizioni e/o) è la sua quarta storia istruttiva (ed il sesto libro dell’autore). Si può essere condannati a pene severissime, ad anni ed anni di carcere non perché si è colpevoli del reato contestato, ma perché si è colpevoli di non volere piegarsi al modo in cui funziona la malagiustizia. E come funziona? Funziona con magistrati che fanno male il loro mestiere; con indagini costruite non al fine di trovare il responsabile di un reato, ma allo scopo di dimostrare che quello arrestato è il vero colpevole; e con una sola via d’uscita: la delazione. Chi non imbocca quella via è fottuto, e chi se ne frega se la legge dice che l’imputato ha tutto il diritto a starsene zitto. Appunto, se ne stia zitto.

Nelle prime pagine si trova un dialogo illuminante. Prima dell’udienza preliminare l’avvocato difensore riflette ad alta voce: “Il dottor Pisano è un brav’uomo. Non è mai prevenuto e rispetta i diritti della difesa. All’apparenza è il giudice ideale, ma in realtà non ha una particolare propensione alle indagini. Si accontenta di quello che gli passano le forze dell’ordine”. Ritratto eccellente della più diffusa specie di giudice italiano. Il suo essere “brav’uomo” dovrebbe essergli contestato come aggravante. L’esperienza insegna che, alla fine, è meglio trovarsi davanti ad uno di quei magistrati politicizzati e prevenuti, uno di quelli che sopprimerebbe volentieri ogni diritto di difesa; questo, difatti, chiarisce le regole del giuoco. Ma il brav’uomo indolente e burocraticamente insensibile è micidiale.

L’Alligatore lo sa, e dice all’avvocato che il suo cliente è oramai perso. “Se arriva all’udienza preliminare -gli risponde l’avvocato- con questi elementi, sicuramente. Oramai in questo paese i processi si vincono in istruttoria. Poi è troppo tardi”. Fosse per noi metteremmo i libri di Carlotto fra quelli obbligatori in un corso di giurisprudenza, in ogni caso ne imporremmo la lettura ai tanti che straparlano di giustizia.

Comunque, l’Alligatore accetta l’incarico di indagare a favore del detenuto (a proposito, con il nuovo codice di procedura penale queste indagini della difesa dovrebbero essere la regola, mentre, invece, si trovano solo nei libri di Carlotto ad opera dell’Alligatore: significativo, no?). Ne scoprirà di tutti i colori, mostrandoci una realtà in cui il confine fra giusto ed ingiusto, lecito ed illecito non è metafisicamente indefinito, ma assai realisticamente permeabile. Motivo per cui il libro è consigliato anche a tutta quella brava gente che chiede alle forze dell’ordine di essere difesa dal crimine.

Il finale è obbligatoriamente triste: il male trionfa, la giustizia affoga. Perché obbligatoriamente? Perché per togliere l’alibi a quanti vorranno leggere le sue pagine come un noir da ombrellone, Carlotto si cura di ricordare che la storia è solo parzialmente inventata, il fondo è vero, ed è anche vero il dramma di un uomo che, adesso, sta scontando una pena per un reato che non ha commesso. Di più: per un reato che gli era estraneo, per un crimine contro il quale aveva combattuto.

Romanzo, giallo, noir …. sono i generi cui s’ispirano la gran parte degli articoli e dei servizi televisivi dedicati alla cronaca, quasi tutti basati sulle veline passate da forze dell’ordine o da magistrati che hanno una concezione assai personale del segreto istruttorio. La realtà dell’Alligatore è più vera, e Carlotto ha il merito di avere trovato la chiave giusta per raccontarla.

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