Giustizia

Alterne preoccupazioni

Alterne preoccupazioni

L’Associazione Nazionale Magistrati si dice molto preoccupata e intimamente turbata per quel che può aver combinato un collega eletto in Parlamento, Alfonso Papa, ma non ha trovato modo per inquietarsi per quel di cui è accusato un collega in servizio, Alberto Cisterna. Eppure, quando il 3 gennaio 2010 scoppiò il bombolone a Reggio Calabria, nel mentre i costernati in servizio permanente effettivo facevano a gara nello scrivere tutti le stesse bischerate sull’intimidazione alla giustizia, noi sostenemmo che una roba di quel tipo, organizzata apposta per non fare male a nessuno, un petardone innocuo per uomini e cose, segnalava una sola cosa: qualcuno stava dialogando con chi stava dentro ai palazzi della giustizia. Un tema rilevante, su cui, però, il sindacato dei magistrati non sembra voler spendere troppo tempo e attenzione.

Una parola su Papa: mi occupo di politica da prima che lui c’entrasse e non mi ero accorto di cotanto arrivo. Colpa mia, naturalmente. Dubito seriamente che abbia mai contato qualche cosa, mentre il suo agitarsi per clienti e clientele si limita a segnalare lo spessore di tanti che siedono in Parlamento. Pare ospitasse un’avvenente russa all’Hotel De Russie. Chissà se credeva ne fosse la rappresentanza diplomatica. Il mondo è pieno di gente che dice di conoscere e sapere, a Roma, poi, c’è un affollamento notevole. Se è colpevole di reati spero sia presto processato e condannato, sicché raggiunga le patrie galere. Nel frattempo, però, che sia una specie di gran burattinaio di politica e giustizia è una favola che non sono disposto a bere. Non sulla fiducia.

Era un magistrato, ora è un parlamentare, domani potrebbe tornare a fare il magistrato. Inaccettabile, per lui come per chiunque altro. La sinistra è piena di gente con questo percorso, la destra ha la colpa di avviare guerre inconcludenti. Anziché stare a berciare per anni si sarebbe potuto provvedere: chi si candida, anche se non eletto, non torna mai più indietro. Va a fare, semmai, un altro mestiere. E questo è tutto, in termini d’interessi e prudenze generali.

Che il vice procuratore nazionale antimafia sia indagato per corruzione in atti giudiziari, con l’accusa di avere scarcerato un uomo delle cosche in cambio di denaro, è, invece, assai più grave e preoccupante. Tanto più che poche settimane fa l’Anm stessa lo ospitava, in un convegno bolognese, per portare un atestimonianza di lotta contro la penetrazione istituzionale delle mafie. Per Alberto Cisterna, come per chiunque altro (chiunque), vale la presunzione d’innocenza, ma quel bombolone esploso, quel bazzoka fatto ritrovare nell’ottobre successivo, sono evidenti segnali che fra uomini della ‘ndrangheta e uomini delle istituzioni s’era intessuto un rapporto non accettabile. Si tratta, naturalmente, di trovare i responsabili, d’individuare i colpevoli, senza generalizzare. Ma, anche in questo caso, alcuni passaggi sono inquietanti.

Cisterna è accusato da un pentito che si è addossato la colpa di avere organizzato l’esplosione notturna. Avendo confessato reati propri, secondo il codice non scritto del pentitismo, quel collaboratrore di giustizia è ritenuto credibile. Allora, che si fa? Se l’accusato fosse un parlamentare sarebbe già fregato. Se si trattasse di un manager pubblico sarebbe già indotto alle dimissioni. Si tratta di un magistrato, mi aspetto due cose: a. l’immediata sospensione da ogni incarico; b. lo svolgimento veloce delle indagini e l’eventuale passaggio al processo, con l’interessato che si adopera affinché i tempi siano brevi. Cisterna ha già detto di essere del tutto innocente e noi abbiamo il dovere di credergli. Visto che non gli credono i suoi colleghi è bene che la cosa si chiarisca in fretta. Al termine avremo due sole possibilità: che un ennesimo pentito abbia accusato l’ennesimo innocente, inducendoci a riflettere su una legislazione e una prassi che consentono a questi delinquenti di fare i loro comodi e riceverne benefici; oppure che un magistrato s’è messo al servizio del crimine, senza che il mondo circostante, dei colleghi e degli altri giudicanti, sia stato in grado di fermare lo scempio.

In tutti e due i casi avremmo di che riflettere. Noi cittadini, il legislatore, come anche la magistratura. Che, invece, si sveglia al mondo dell’indignazione e dell’accoramento solo quando ciò è riscuotibile allo sportello della politica e della polemica. Il che, sia chiaro, non assolve nessuno, ma induce a esecrare quasi tutti.

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